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Inequilibrio 2016. Questa casa non è un albergo

Inequilibrio 2016 ha chiuso senza certezze sul futuro. Privo della Tensostruttura e in vista di un possibile spostamento fuori dal luogo che tanti artisti ha visto crescere: il Castello Pasquini

foto di Lucia Baldini
foto di Lucia Baldini

Dedicato a chi non c’era.
Del teatro sappiamo un segreto fondamentale, quella sorta di estromissione del presente dal presente, o meglio, quella scelta di asincronicità sfuggente contro ogni cristallizzazione del tempo. Ciò che accade, pertanto, è frutto di evoluzione quasi mistica, affascina proprio per la sua caducità, quella promessa di sparizione improvvisa: ciò che è stato, non è più, non è tuttora, si metta in dubbia sia mai accaduto. Questo scarto tra esistenza ed evaporazione è il ponte sentimentale tra epoche, linguaggi, ricorrenze, apparizioni, ossia tra tutto ciò che compone la storia più o meno recente del teatro contemporaneo.
Eppure, ben sapendo tutto questo, ci si sofferma sui luoghi, sulle occasioni, sugli incontri. Come fossero davvero. O fossero stati. Perché la testimonianza porti il carico di un tempo nell’altro, il lascito ereditario che mescola tradizione e avanguardia in un’unica onda espressiva. Oltre cui, un altro teatro, un’altra vita, attende di apparire e scomparire.

foto di Lucia Baldini
foto di Lucia Baldini

I promessi sposi di Manzoni avevano un ramo del Lago di Como per ancorarci un Addio ai monti, al Castello Pasquini di Castiglioncello sui rami della piccola pineta ci corrono gli scoiattoli che lì hanno fatto casa. Descrivere il luogo, primo passo. Ci sono le panchine, sotto gli alberi. Durante l’ultimo festival Inequilibrio 2016, quello che si spera ancora non verrà ricordato come “festival dei saluti”, andarci a passeggio era come calpestare il suolo di un’altra casa – quella di uomini, artisti, non scoiattoli – in cui abbiamo abitato per tanti anni e che ora siamo costretti a lasciare, venduta, sguarnita, lasciata a chi la saprà trasformare in un albergo. Se gli scoiattoli corrono per andarsi a nascondere nei buchi che hanno così bene arredato e fortificato sul proprio albero, noi dentro le stanze del Castello Pasquini non ci siamo mai rinchiusi, ma anzi – con Massimo Paganelli prima, con Andrea Nanni poi, con Fabio Masi e Angela Fumarola ora – abbiamo aperto allo sguardo di ognuno le apparizioni del teatro nazionale e proiettato molto oltre quel sintomatico tempo presente, abbiamo accettato il rischio di farci interpreti di un mondo attraverso l’arte e rappresentarlo in questo piccolo angolo, abbiamo sacrificato le opportunità commerciali che invece ora sembrano tornare di moda, in virtù di un sogno senza condizioni, in nome della crescita artistica, culturale, esistenziale, del paese Castiglioncello e del paese Italia.

Abbiamo fatto tutto questo. E devo usare il noi. Perché in quell’angolo non lavora solo una squadra della costa toscana. Lì abbiamo lavorato tutti. Qui abbiamo visto cose che racconterò a una ragazza che ha 27 anni e c’è stata per la prima volta quest’anno, che le brillavano gli occhi e non sa niente di cosa ha significato quel posto; afferrato idee che affioravano da pensieri sparsi, dei grandi artisti residenziali, dispersi a passeggio per la pineta e il lungomare; ambito a diventarne cantori solo in virtù di una manomissione della propria ambizione, cui qualcuno ancora non riesce a piegarsi, solo cioè accettando di tirarsi via dal protagonismo e dirsi umili verso l’arte, il silenzio, le curve misurate su una materia vergine, cui concedere un tocco di mano servile.

foto di Lucia Baldini
foto di Lucia Baldini

Nella pineta, poi, c’è l’anfiteatro. E dentro, l’anfiteatro, quella sera c’era Oscar De Summa. Io quando vado a teatro cerco di mettermi di lato, me l’ha insegnato un critico più anziano di me che diceva: se funziona da qui, funziona pure in mezzo. Ci ho pensato, ha ragione. Perché io devo essere il più scomodo degli spettatori. Ma l’attore, la sua scomodità è un marchio a fuoco impresso sul confine dell’ingresso in scena, suda, fa sforzi di memoria, di presenza, come un’oscillazione continua tra restare e scappare via. A una certa distanza, da quella posizione, lo vedi che scioglie le parole nelle labbra, una a una, compie pochi gesti essenziali per disegnare strade, case, semafori, marmitte di motorini disperse nella campagna pugliese. Il suo Diario di provincia, nato proprio al Castello dieci anni prima, ci torna da grande, con la barba folta e grigia, con l’energia ricavata tra passato e futuro, in quel presente inaffidabile in cui è vero tutto ed è vero niente. E un attore questo lo sa, ci vive dentro al tempo universale, sente battiti confusi e privi di una sequenza che non sia la partitura della sua scena.

Ora scende, piano, la sera. L’anfiteatro si richiude nella sua forma a braccia larghe, è stato ancora una volta il punto d’incontro di anime diverse, ma lo stesso indemoniate e sporche, che rifiutano il tempo andato e quello che non arriva mai, rifiutano le categorie dei ministeri, la forma che imbriglia, le scatole di estetiche e teorie, rifiutano i vittimismi del teatro che è morto, l’arte è morta, l’occidente si suicida, rifiutano le case private in cui spartirsi territori, le case di scoiattoli in cui vivere rintanati. Perché ne passa, di vento, tra i rami.

Simone Nebbia

Festival Inequilibrio 2016 – Castiglioncello

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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

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