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Backpack. Sulle spalle di Francesca Foscarini

In prima assoluta a Venezia per Biennale Danza 2016 il nuovo solo di Francesca Foscarini, Backpack. Recensione

phCosimo Lopalco_Backpack_Francesca Foscarini_ Biennanle Danza 2016
Foto Cosimo Lopalco

Il Teatrino di Palazzo Grassi ha un’architettura severa, algida, in qualche modo lugubre. Lo scarto di temperatura con una Venezia torrida e umida blocca quasi il respiro, lo cristallizza in un ritmo più breve, meno avido, più composto. Al chiarore di un palco bianco, che sul fondale ospita quelle che sembrano delle ante con piccoli buchi per maniglia, le pareti insonorizzate e le poltrone imbottite ci accolgono all’interno del nuovo solo di Francesca Foscarini, Backpack, disegnandoci attorno un’atmosfera asettica, spersonalizzata e spersonalizzante.

In questo ambiente vuoto, da una porta laterale entra una figura slanciata ed esile dentro canotta e calzoni neri, è appesantita da uno zaino da trekking che curva la schiena. Il suo incedere è incerto, trascinato, affaticato, più volte interrotto e sbattuto al suolo dalla gravità che vuole il peso tutto per sé. Quando finalmente raggiunge il centro del palco, la danzatrice toglie lo zaino e ne rovescia in terra il contenuto. Vestiti colorati, ciabatte, cappelli, calzini, piccoli oggetti, addirittura un giubbetto salvagente gonfiabile: una mappa ideale di ciò che un viaggiatore porta con sé. Sempre o per una volta sola. Il fondo di quello zaino, di cui si è provata la capacità, presto smette di esistere, in questo lavoro breve e sommesso la sua capienza diviene misura metafisica, arma di auto-definizione e di sconfinamento.

phCosimo Lopalco_Backpack_Francesca Foscarini_ Biennanle Danza 2016
Foto Cosimo Lopalco

Nel mucchio compare una gomma da masticare, poi un’altra, poi un’altra, con cui riempirsi la bocca mandando in giro per la sala un effluvio fruttato. Continuando a masticare, con movimenti risoluti Foscarini indossa uno a uno tutti gli abiti, lo spazio torna a essere vuoto, il vissuto interno adesso è stato espulso, il suo peso goffamente riorganizzato e caricato su spalle, arti, busto e piedi, a modificare, confondendole in strati, le forme del corpo che lo indossa. Mentre cammina, sosta, corre in circolo, siede in attesa soffiando palloncini dalla bocca al suono di Jacques Offenbach e Tom Waits, sembra tornare dunque il gioco sul concetto di gravità, allargato dalla dimensione materiale a quella temporale ed esistenziale.
Se in altri lavori la coreografa e danzatrice aveva posto al centro della propria ricerca la presenza diretta del corpo e la sua interazione con spazio e tempo lavorando sugli accenti emotivi, Backpack (pensato in collaborazione con Ginelle Chagnon) sposta il fuoco sulla relazione con gli oggetti, riflettendo sul filo che collega attaccamento e distacco, nella vita nomade di un’artista che porta sulla scena la propria interiorità.

ph Akiko Miyake_Back Pack_Francesca Foscarini_ Biennanle Danza 2016
Foto Akiko Miyake

Cifra di ritorno, per Foscarini, è quella dell’ironia, qui tonalità costante di una coreografia dal ritmo volutamente frammentato, sempre in potenza, in qualche modo decadente. Certi passaggi, come la lunga sequenza di immobilità di fronte al mucchio di abiti inteso come io inanimato o i quadri in cui la musica procede libera senza il commento del movimento, mettono alla prova l’attenzione dello spettatore, forse complice anche l’eccessiva neutralità dello spazio scenico, non particolarmente adatto a un’abitazione così intimista.

Eppure l’intimità e il ritmo individuale sono le chiavi di questo lavoro, al quale verrebbe da chiedere un ulteriore sviluppo, uno scarto positivo nel rapporto tra la danzatrice e gli oggetti che – da come è organizzata la scrittura drammaturgica – paiono voler prendere il controllo senza mai davvero riuscirci. La vocazione marcatamente performativa lega l’azione alla sensibilità del corpo specifico, il quale in certi passaggi fallisce il tentativo di restituire al pubblico il risultato di questa somma di identità e di frammenti di vissuto che l’immagine della vestizione compulsiva sembra voler veicolare. Se l’intenzione – dichiarata anche in un’intervista alla redazione de La danza nella città – è associare la scelta degli oggetti utilizzati a «un’idea di sopravvivenza» (richiamata in maniera esplicita dal salvagente), lo sguardo dello spettatore resta allora affamato di nuovi conflitti, di inaspettate evoluzioni che raccontino il formarsi e il fratturarsi di questo processo di ricostruzione dell’io.

Sergio Lo Gatto

Biennale Danza 2016, Teatrino di Palazzo Grassi, Venezia – giugno 2016
prossime repliche: 24 agosto 2016, Opera Estate Festival Veneto, Palazzo Pretorio, Cittadella

BACKPACK
Coreografia Francesca Foscarini.
Drammaturgia Ginelle Chagnon.
Videoinstallazione Fiorenzo Zancan.
Foto Furio Ganz
Coproduzione CSC, Centro per la Scena Contemporanea, Bassano del Grappa; Centro Jobel Residenza Teatrale.
Con il sostegno di MiBACT – Ministero per i Beni e le Attività Culturali

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Sergio Lo Gatto
Sergio Lo Gatto
Sergio Lo Gatto è giornalista, critico teatrale e ricercatore. È stato consulente alla direzione artistica per Emilia Romagna Teatro ERT Teatro Nazionale dal 2019 al 2022. Attualmente è ricercatore presso l'Università degli Studi Link di Roma. Insegna anche all'Alma Mater Studiorum Università di Bologna, alla Sapienza Università di Roma e al Master di Critica giornalistica dell'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica "Silvio d'Amico" di Roma. Collabora alle attività culturali del Teatro di Roma Teatro Nazionale. Si occupa di arti performative su Teatro e Critica e collabora con La Falena. Ha fatto parte della redazione del mensile Quaderni del Teatro di Roma, ha scritto per Il Fatto Quotidiano e Pubblico Giornale, ha collaborato con Hystrio (IT), Critical Stages (Internazionale), Tanz (DE), collabora con il settimanale Left, con Plays International & Europe (UK) e Exeunt Magazine (UK). Ha collaborato nelle attività culturali e di formazione del Teatro di Roma, partecipato a diversi progetti europei di networking e mobilità sulla critica delle arti performative, è co-fondatore del progetto transnazionale di scrittura collettiva WritingShop. Ha partecipato al progetto triennale Conflict Zones promosso dall'Union des Théâtres de l'Europe, dove cura la rivista online Conflict Zones Reviews. Insieme a Debora Pietrobono, è curatore della collana LINEA per Luca Sossella Editore e ERT. Tra le pubblicazioni, ha firmato Abitare la battaglia. Critica teatrale e comunità virtuali (Bulzoni Editore, 2022); con Matteo Antonaci ha curato il volume Iperscene 3 (Editoria&Spettacolo, 2018), con Graziano Graziani La scena contemporanea a Roma (Provincia di Roma, 2013). [photo credit: Jennifer Ressel]

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