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Sergio Rubini dal cinema al teatro, ma la storia la conosciamo a memoria

Sergio Rubini in teatro con Provando… Dobbiamo parlare. Il testo è frutto del lavoro cinematografico. Recensione

 

foto ufficio stampa
foto Roberto Manzini

Di certo bisogna avere coraggio, oppure imprudenza, nello scrivere l’ennesimo testo giocato sul meccanismo della doppia coppia. È un grande classico del teatro ma anche del cinema: in questi ultimi anni Il dio della carneficina (Le Dieu du carnage) della francese Yasmina Reza ha spopolato a teatro come al cinema proprio con questo plot. Ma i piatti pronti, lo sappiamo, hanno tutti lo stesso sapore prevedibile a meno che la ricetta non sia davvero tradita in funzione di un rinnovamento. Eppure in Italia, a quanto pare, quando un attore è un volto noto può tutto: può ad esempio essere programmato in uno dei più importanti e storici teatri di Roma e mettere in scena la propria commedia basata su quel logoro meccanismo proprio mentre al cinema viene proiettata la stessa storia per mezzo di un film. Il mago di questa operazione è Sergio Rubini: all’Ambra Jovinelli, con Provando… Dobbiamo parlare, si presenta con le luci di sala ancora accese, con fare nervoso e una gestualità indisciplinata comincia a spiegare da dove arriva l’idea dello spettacolo – dal cinema appunto, dato che in molti gli dicevano che era una sceneggiatura molto teatrale, perché non proporla anche in una versione da palco? Ecco fatto, i piatti pronti ora sono in doppia ricetta, ma dalla stessa provenienza e il rischio di servire una portata fredda e insipida è molto alto.

foto ufficio stampa
foto Roberto Manzini

Una volta spiegata l’origine misteriosa della storia l’attore pugliese – in questo caso anche autore insieme a Carla Cavalluzzi e Diego De Silva – dà il via alla commedia chiamando le attrici, che dal fondo della platea raggiungono il palco, mentre interloquisce con tecnici e maestranze. Ora, questo incipit alla maniera dei Sei personaggi pirandelliani potrebbe anche essere un omaggio sensato se portato avanti a dovere; ma al contrario la finta partenza mancata, il teatro nel teatro, ritorna solo in una o due occasioni praticamente inefficaci, tanto che alla fine è impossibile non chiedersi che sorte abbia avuto quel pensiero drammaturgico. Forse evaporato tra una battuta e l’altra?
La doppia coppia firmata Sergio Rubini si presenta in questo modo: marito e moglie di mezza età (Fabrizio Bentivoglio e Maria Pia Calzone), lui grande chirurgo, la tipica borghesia che dedica la propria vita alla carriera e al denaro, guarda caso un po’ destrorsa per quello che riguarda la fede politica; dall’altra parte, disegnati con la stessa accetta dei primi, uno scrittore di successo (anch’egli di mezza età) e una compagna di lunga data, giovane scrittrice che finora si era accontentata di aiutare il compagno senza però meritarsi mai la firma in copertina, interpretati dallo stesso autore e da Isabella Ragonese.

foto ufficio stampa
foto Roberto Manzini

Non ci crederete mai ma il tradimento del professorone scatena l’inferno: la coppia di scrittori si trova a dover consolare, capire e aiutare i ricchi amici per tutta una notte, fin quando – ecco dove si innesta il meccanismo preconfezionato – anche il loro rapporto va in crisi. La differenza è solo nella accettazione o non accettazione di un sistema di valori votato alla finzione. Quasi a dimostrare che si può uscire dal pantano dell’ipocrisia, nel finale Rubini tenta uno scatto di reni affidando a uno dei personaggi la scelta rivoluzionaria di infrangere il muro dell’anti-morale borghese.
Come spesso accade in questi raccontini, devono pensarci gli attori e le battute divertenti a salvare baracca e burattini: anche nel caso di Provando… Dobbiamo parlare sono loro a insaporire la pietanza. E così il pubblico romano ride di gusto appena Bentivoglio apre bocca per la prima volta dimostrando un’impeccabile dizione e un carisma alla Aldo Fabrizi, fino a diventare quasi una macchietta, spassosa e irreale figura, che a dire il vero si staglia rispetto agli altri interpreti, dei quali comunque non è possibile parlare male. Perché non solo hanno a che fare con personaggi stereotipati usciti fuori da una narrazione stereotipata, ma anche perché a quanto pare devono fare a meno pure di una regia che tenti di cercare uno stile recitativo comune ed efficace.
Rimane poco e niente di questo spettacolo, che purtroppo conferma come esista un immaginario narrativo, comune anche a certo cinema italiano, decisamente paludato, che spesso presenta intrecci incapaci di guardare oltre quello stretto spazio di problematiche, valori e riflessioni relative alla famiglia, alle differenze sociali e culturali, guardandosi bene dal tentare connessioni più ampie, non sia mai che lo spettatore venga sorpreso.

Andrea Pocosgnich

Visto al Teatro Ambra Jovinelli, Roma
in scena fino al 20 dicembre 2015

PROVANDO… DOBBIAMO PARLARE
scritto da Sergio Rubini, Carla Cavalluzzi, Diego De Silva
con Fabrizio Bentivoglio, Maria Pia Calzone, Isabella Ragonese, Sergio Rubini
scene
Luca Gobbi
costumi Patrizia Chericoni
disegno luci Luca Barbati
regista collaboratore Gisella Gobbi
Regia di Sergio Rubini
produzione NUOVO TEATRO diretta da Marco Balsamo
in coproduzione con PALOMAR Television & Film Production fondata da Carlo Degli Esposti

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Andrea Pocosgnich
Andrea Pocosgnichhttp://www.poxmediacult.com
Andrea Pocosgnich è laureato in Storia del Teatro presso l’Università Tor Vergata di Roma con una tesi su Tadeusz Kantor. Ha frequentato il master dell’Accademia Silvio D’Amico dedicato alla critica giornalistica. Nel 2009 fonda Teatro e Critica, punto di riferimento nazionale per l’informazione e la critica teatrale, di cui attualmente è il direttore e uno degli animatori. Come critico teatrale e redattore culturale ha collaborato anche con Quaderni del Teatro di Roma, Doppiozero, Metromorfosi, To be, Hystrio, Il Garantista. Da alcuni anni insieme agli altri componenti della redazione di Teatro e Critica organizza una serie di attività formative rivolte al pubblico del teatro: workshop di visione, incontri, lezioni all’interno di festival, scuole, accademie, università e stagioni teatrali.   È docente di storia del teatro, drammaturgia, educazione alla visione e critica presso accademie e scuole.

3 COMMENTS

  1. Trascinato da un amica. Poche aspettative, puntualmente confermate. L’ultimo spettacolo all’Eliseo di Placido mi ha lasciato lo stesso sapore amaro di MALTEATRO.

    Qui i problemi sono due.

    Il primo lo hai sottolineato tu quando dici che “quando un attore è un volto noto può tutto: può ad esempio essere programmato in uno dei più importanti e storici teatri di Roma e mettere in scena la propria commedia basata su quel logoro meccanismo”.
    L’altro “E così il pubblico romano ride di gusto”
    Non c’è alcuna educazione al discernimento e quando i problemi sono sul palco e in platea salvarsi dal naufragio è impossibilie.

  2. Andrea, il tuo articolo mi ha fatto riflettere, in particolare quel passaggio citato anche nel precedente commento quel “Così il pubblico romano ride di gusto”. Allora voglio provocare, permettendo che la penso esattamente come te, sia dello spettacolo nello specifico, sia del sistema, chiamiamolo così semplificando. Dicevo voglio provocare, non è possibile che siamo noi, appassionati del teatro, noi fruitori pensanti a caccia di vere emozioni ad aver sbagliato?? Se il pubblico riempie l’Ambra, forse è questo il teatro che ci meritiamo?

  3. SI, ci meritiamo questo teatro! Un teatro che non nasce da una esigenza ma da un sistema ormai logoro. Come sarebbe bello e giusto sapere che per la prossima stagione i distributori ci penseranno due volte prima di accettare spettacoli firmati da “NOMI” ma che hanno portato in scena spettacoli decisamente BRUTTI, anzi peggio, INUTILI.
    Come sarebbe bello premiare i talenti nascosti, scovati in piccoli teatrini, che hanno la voglia e il BISOGNO di salire sul palcoscenico. Forse il pubblico che “ride di gusto” all’Ambra imparerebbe a capire la differenza…..COME SAREBBE BELLO!

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