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Teatrosofia #27. Gli atomi recitano? Lucrezio contro Democrito

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Teatrosofia esplora il modo in cui i filosofi antichi guardavano al teatro. In questo appuntamento la differenza nella concezione della percezione tra visione democritea e epicurea

In Teatrosofia, rubrica curata da Enrico Piergiacomi – dottorando di ricerca in filosofia antica all’Università degli Studi di Trento – ci avventuriamo alla scoperta dei collegamenti tra filosofia antica e teatro. Ogni uscita presenta un tema specifico, attraversato da un ragionamento che collega la storia del pensiero al teatro moderno e contemporaneo.

Epicuro in La scuola di Atene, Raffaello Sanzio, 1509-1511
Epicuro in “La scuola di Atene”, Raffaello Sanzio, 1509-1511

Una delle dottrine che contraddistingue la filosofia atomista da tutte le altre è la teoria dei simulacri. Gli oggetti esterni rilasciano da sé degli ammassi di atomi, che colpendo gli organi di senso del soggetto generano in lui sensazioni e pensieri. Per fare un singolo esempio, gli individui vedrebbero che cosa è un gatto perché l’animale emana dei simulacri, che comunicano ai sensi che tale oggetto ha “questa forma e questo colore qui”.
Ma cosa pensare del canto, del teatro e dello spettacolo? Essi sono percepiti con un meccanismo del genere, oppure con uno più complesso? Le risposte a queste due domande variano molto, a seconda che ci si confronti con l’atomismo antico di Democrito o quello più recente degli Epicurei.
Un’informazione sulla teoria dei simulacri del primo è preservata da Plutarco. Gli ammassi di atomi trasmettano al soggetto percipiente non solo le proprietà semplici possedute dall’oggetto esterno (forma, colore, ecc.), bensì anche le emozioni, i ragionamenti e altri stati o attività “mentali” che egli sta provando / articolando. Se dunque vedo che una persona canta e recita la parte di Medea furente, è perché il suo corpo emana degli “atomi di canto” e degli “atomi di teatro” e/o “di spettacolo”, che influenzano la mia mente facendole avvertire il canto, il teatro e/o lo spettacolo. Una conseguenza di tale dottrina è che, entro certi limiti, i simulacri stessi cantano e recitano. Se ogni atto percettivo comporta la ricezione passiva di qualità che essi trascinano, allora i simulacri sono animati e “replicano” quello che l’ente emanatore sta facendo. Il fenomeno che Democrito usa per giustificare la sua asserzione è l’esperienza onirica: quando vedo uomini danzare e cantare nel sonno, sto in realtà ricevendo dall’esterno i simulacri di uomini che danzano e cantano a chilometri di distanza, o persino in altri pianeti, che senza volerlo mi stanno regalando conoscenza e diletto.
Di contro, l’atomismo epicureo espone una concezione che si pone in esplicita controtendenza a quella democritea, sostenendo che gli stati e le attività mentali sono colte sì dalla mente, però per un suo lavoro autonomo e per alcuni versi indipendente dall’azione dei simulacri. L’intelletto umano percepisce che un uomo sta cantando e recitando la parte di Medea furente, senza provare davvero rabbia, in virtù di uno spontaneo ragionamento su quanto sta vedendo, per esempio quello che articola l’opinione che “questo uomo qui con questa forma e questo colore qui sta fingendo di essere una donna che uccide i suoi figli, ma non lo è realmente”. I simulacri non sono allora impregnati di canto, arte e spettacolo, poiché queste tre cose sono al contrario colte tramite la ricezione dei simulacri, a cui la mente aggiunge qualcosa di suo.

Democrito, Peter Paul Rubens, 1635
Democrito, Peter Paul Rubens, 1635

Quanto all’esperienza onirica, Lucrezio allude forse ironicamente – sempre nel libro IV del suo poema – a Democrito, quando nomina l’idea che «i simulacri sono impregnati di arte» e portano in scena «nel sonno» il loro «teatrino» (vv. 792-793), per poi respingerla subito dopo, asserendo che l’autentica spiegazione del fenomeno è quella data poco prima (vv. 786-787). Se un uomo addormentato vede uomini che cantano e recitano, è a causa dell’attività della sua mente o «animo». Peraltro, sappiamo da versi successivi (962-985) che la mente tende a riesperire nel sonno quanto ha osservato nella veglia e ciò che ama fare. Così, un marinaio che adora salpare e ha salpato per mesi vedrà persone occupate in imprese marinaresche non perché riceve i simulacri di altri marinai che navigano nel mar Mediterraneo o sul pianeta Venere, ma perché il suo intelletto genera spontaneamente tali visioni. A mo’ di corollario, potremmo aggiungere che un attore che per ipotesi recitasse di fronte a due uomini addormentati genererebbe coi suoi atomi nei due sognatori due spettacoli diversi: tanta è la mobilità della loro mente, che a seconda di quanto è da loro preferito e amato porta alla visione come all’ascolto di scene differenti.
La concezione epicurea è senz’altro razionalmente più soddisfacente della democritea, perché spiega meglio la difformità delle nostre attività percettive e ammette la possibilità dell’errore. Del resto, come potrebbe capitarci ad esempio di confondere una persona realmente arrabbiata con una che finge solo di esserlo, se i simulacri portassero davvero gli atomi d’ira? In linea di principio, se Democrito avesse ragione, questo errore non dovrebbe verificarsi mai, mentre l’esperienza mostra che è vero l’esatto contrario. Gli Epicurei invece riuscirebbero a spiegarlo, giacché sosterrebbero che lo sbaglio dipende dal ragionamento, che opina il falso su quanto il soggetto sta percependo.
Nondimeno, la prospettiva di Democrito si rivela essere superiore in quanto genera una bella illusione, che aiuta a vivere in tempi sciagurati come i nostri. Se anche il teatro dovesse diventare impraticabile in questo nostro mondo nei prossimi anni, come la barbarie crescente e il documento di Massimiliano Civica – Attilio Scarpellini (La fortezza vuota. Discorso sulla perdita di senso del teatro, edizioni dell’asino, 2015) sembrano preludere con forza, sarebbe comunque possibile continuare almeno a sognarlo. Potremmo infatti goderne ancora nel sonno grazie ai simulacri di essere umani puri, che in altri pianeti remoti continuano a cercare la bellezza col canto e col teatro, mentre noi ci massacriamo e ci umiliamo a vicenda. Tra il bell’inganno dell’antico Democrito e la nuda verità del più evoluto Lucrezio, sarebbe forse preferibile il primo.

—————————–

[Secondo Democrito], i simulacri penetrano nelle più profonde parti del corpo attraverso i pori, e ritornando in alto causano i sogni. Essi sono rilasciati da ogni cosa, come oggetti, vestiti e piante, ma soprattutto dagli esseri viventi, a causa del loro calore e i movimenti della loro anima. Inoltre, i simulacri non portano solo l’aspetto esteriore e i tratti somiglianti dei corpi (come pensa Epicuro, che fin qui segue Democrito ma poi se ne allontana), ma portano pure con sé le impressioni dei movimenti, delle intenzioni, dei caratteri e delle passioni di ciascuno, mentre trasmettono a coloro che li ricevono le opinioni, i ragionamenti e gli impulsi degli emittenti, quasi fossero esseri viventi che parlano e portano ambasciate (Plutarco, Conversazioni a tavola, libro VIII, passo 735a2-b4 = Democrito, fr. 68 A 77 DK)

Forse che il nostro volere i simulacri stanno a guardare / e non appena lo vogliamo, ce ne viene incontro l’immagine? / Se il mare, se la terra ci è a cuore, se poi il cielo, / riunioni di uomini, processioni, conviti e battaglie, / tutto, detto e fatto, la natura appresta? / Tanto più che in altri, nella stessa regione e luogo, / l’animo cose tutte assai differenti pensa. / Che dire poi, se vediamo a ritmo avanzare nei sogni / i simulacri e le agili membra agitare, / se in velocità le agili muovono braccia alternativamente / e ripetono il gesto con piede che il muover degli occhi asseconda? Certamente i simulacri sono impregnati di arte, e vagano, istruiti, / per poter realizzare, di notte, il loro teatrino. / O piuttosto quello sarà vero? Poiché in un solo istante, / quando sentiamo, cioè quando è emessa una sola voce, / molti istanti si nascondono, che il ragionamento appura che esistono, / per cui accade che, in un istante qualunque, qualsivoglia simulacro sia pronto e in ogni luogo disposto: / tanta è la mobilità, e delle cose immaginate l’abbondanza tanta (4.781-798)

E in quelle passioni nelle quali ciascuno quasi avvinto rimane, / o in quelle cose nelle quali molto abbiamo prima indugiato, / e in quella attività alla quale fu di più tesa la mente, / nel sonno le medesime cose per lo più sembra ci vengano incontro: / gli avvocati trattare di cause e mettere insieme le leggi, / i generali combattere e attaccar battaglie, / i marinai affrontare la guerra ingaggiata con i venti, / noi poi far ciò e la natura ricercar delle cose / sempre e, ritrovatala, nelle carte con la lingua dei padri esporla. / Così le altre passioni e arti per lo più sembran tenere / legati nel sonno gli animi degli uomini, ingannandoli. / E coloro che, per molti giorni di sèguito, agli spettacoli / con assiduità hanno assistito, per lo più vediamo / che quando ormai cessarono di avvertirli con i sensi, / tuttavia gli rimangono altre vie nella mente aperte, / per le quali possano gli tessi delle cose simulacri venire; / per molti giorni pertanto quei medesimi si rigirano / davanti agli occhi, così che anche da svegli sembri loro / di scorgere dei ballerini e che muovono le agili membra, / e di ricevere nelle orecchie della cetra il limpido carme / e le corde parlanti, e di scorgere anche la gente seduta / e della scena insieme i vari risplendenti apparati. / A tal punto è importante la passione e il volere, / e a quali attività si sia stati soliti dedicarsi (4.962-985)

[La resa dei versi lucreziani è di nuovo quella di Enrico Flores (a cura di), Titus Lucretius Carus. De rerum natura, 3 voll., Napoli, Bibliopolis, 2002-2009. Mentre la traduzione del frammento di Democrito preservato da Plutarco è mia]

Enrico Piergiacomi

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4 COMMENTS

  1. Anch’io sarei per preferire Democrito.
    Medea s’adira, mentre un attore agisce Medea che s’adira.
    La qualità della massa d’atomi d’ira di Medea è ben diversa dai simulacri di finzione d’ira di un attore. Un attore non sarà mai Medea! (e viceversa)
    Resta da spiegare l’impermeabilità di certuni individui agli atomi di teatro vaganti.
    L’universo è colmo di ateatrici!

    Claudio

  2. Caro Claudio,

    sono in piena sintonia con quello che dici. Sarò di parte, appunto perché democriteo e studioso dei suoi frammenti da anni, ma penso che lui abbia capito di più di Epicuro/Lucrezio.
    Quanto all’altra questione, ti rispondo supponendo come la risolverebbe Democrito. Gli atomi sono necessariamente portati a raggrupparsi con particelle di forma, dimensione o altre qualità simili, come si vede ad esempio dal comportamento dei ciottoli trascinati dalle onde sulla spiaggia (quelli piccoli si ammassano su quelli piccoli, i grandi sui grandi). Ora, alcune persone non riescono a ricevere gli atomi di teatro vaganti perché hanno una struttura atomica dissimile dall’amante del teatro, cioè dove le particelle “teatriche” sono in scarso numero. Nel mentre si avvicinano alla loro mente (o pseudo-tale) di questi individui, le particelle vaganti sono dirottate altrove. E’ chiaro che, per rimediare a questa ostilità radicata per il teatro, bisognerebbe rivolgere loro dei ragionamenti, capaci di mutare fisicamente il loro organismo e guarirli della malattia dell’odio per l’arte. Ma visto che anche la ragione è ultimamente poco considerata e coltivata, accontentiamoci di pensare che da qualche parte nell’universo ci sono persone che percepiscono mentalmente il tuo lavoro e lo apprezzano, grazie ai simulacri che emani quando sei in scena. (Detto ciò, non diamo nemmeno a noi uomini in generale troppa importanza: alla fin fine, siamo solo cozzaglie temporanee e accidentali di forme atomiche disperse nel vuoto infinito).
    Bene, la pianto. Su questo autore, potrei andare avanti per delle ore e dedicare una rubrica a parte. A presto,

    Enrico.

  3. Pensavo ad un’altra forma di ateatrìa, subdola, perniciosa perché chi ne soffre non sa di soffrirne.
    Cosa penserebbe Democrito nel caso di quelle persone che pur amando il teatro, riescono a dirottare con meticolosità e pertinacia qualunque particella teatrica vagante?
    (Te lo chiedo per pungolare e perché auspico e caldeggio la nascita di una rubrica democritèa!)
    A presto

    Claudio

  4. Ehi, qui si entra in sottigliezze! L’idea di lavorare ancora e ancora su Democrito aumenta vertiginosamente.
    Ti posso dare due risposte. La prima è di carattere fisico ed epistemologico, che ricavo dalla dottrina della sensazione come “opinine dettata dalla sovrastruttura atomica” (è una resa contorta dell’espressione greca intraducibile “doxis epirusmie”; questo solo per dire che questo signore in italiano appare a volte banale, in greco risulta essere un mostro geniale). In poche parole, l’idea di Democrito è che noi non abbiamo mai una percezione pura di nulla, perché ogni affezione è il risultato dell’impatto dei simulacri rilasciati dagli oggetti – che non emanano mai un solo tipo di atomo ma una “mescolanza dei semi” (e.g., l’attore rilascia particelle di “teatro”, ma anche di “umano”, “tecnica”, “spettacolo”, ecc.) – sul soggetto, che reagisce in modi spesso diversi alle sollecitazioni esterne ed è condizionato dalle sue credenze. Per fare un esempio classico, se io sento che il miele è amaro, mentre tutti gli altri lo sentono dolce, è per il sovrapporsi di una serie pressoché infinita di cause, tra le quali posso citare: 1) il fatto che questo cibo ha una minoranza di particelle di amaro; 2) la constatazione che ho una lingua più rasposa del normale, dunque che non lascia passare facilmente gli atomi di dolcezza; 3) la constatazione che ieri il soggetto ha mangiato solo cose dolci e oggi vorrebbe tanto provare altri sapori; 4) la convinzione del soggetto che il miele fa male alla salute e in fondo fa anche un po’ schifo. Ora, il caso dell’individuo che ama il teatro e tuttavia respinge le particelle teatrali può essere spiegato in modo analogo. Costui può o essere influenzato dalle particelle non-teatrali che il simulacro porta con sé, o può avere una mente che per sua struttura è più sensibile agli atomi di “tecnica” e meno a quelli di”teatro”, o può aver visto il giorno prima cose molto belle e oggi desidera lasciare il suo senso estetico a riposo, o può essere convinto che il teatro è un’altra cosa da quella che l’attore sta facendo e perciò non lo percepisce nemmeno quando viene evocato, o tutte queste cose insieme. Ovviamente, la concezione democritea impedisce di formulare una regola troppo generale e costringe a cercare caso per caso sia il motivo del perché uno percepisce l’amaro in luogo del dolce, sia la ragione dell’estraneità di certuni al “teatrico”. Sappiamo in fondo che Democrito diceva pure che avrebbe preferito scoprire un’unica causa di un fenomeno, piuttosto che diventare re dei Persiani, tanto era convinto che conoscere qualcosa di sensato fosse enormemente difficile.
    Un’altra risposta possibile la ricavo dai frammenti etici. Una delle tesi morali fondamentali di Democrito è che gli esseri umani non vogliono commettere il male e cercano sempre il bene, però incorrono nell’uno ed evitano l’altro per ignoranza del meglio, ragionamenti errati, cattiva educazione. Chi ama il teatro ma respinge le sue particelle può allora o ignorare che cosa il “teatrico” sia, o avere delle opinioni sbagliate sul suo conto, o aver ricevuto una formazione che lo ha traviato. Per rinforzare questo mio discorso, potrei anche ricordare che Democrito disse pure: “bisogna amare il bello, ma senza eccedere”. Ecco, magari – paradossalmente – l’amante del teatro non percepisce il teatro per troppo amore, è avido di sentirlo e ascoltarlo, sicché nei rari casi in cui il “teatrico” viene evocato la sua mente e le sue orecchie non lo avvertono, perché troppo impegnate a cercare. Una conseguenza di tale ragionameno è che bisogna esercitare un certo distacco dal teatro e praticare la pazienza, per diventarne ricettivi.
    La prima risposta mi sembra più persuasiva della seconda, ma quest’ultima è più semplice e, sotto certi versi, meglio confermata dall’esperienza (in fondo, che gli atomi ci siano è cosa ancora tutta da dimostrare, nonostante gli sforzi della scienza moderna). La cosa grandiosa di Democrito è che non trovi mai una risposta preconfezionata, bensì sempre una pluralità di prospettive. Qualcosa del genere la constato solo in Platone e in pochissimi altri pensatori, dall’antichità a oggi. A presto e grazie,

    Enrico.

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