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Alessandro Sciarroni e l’Aurora di un nuovo sguardo

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Alessandro Sciarroni con Aurora chiude la trilogia Will You Still Love Me Tomorrow? Il debutto internazionale a Torinodanza Festival. Recensione.

 

Foto Matteo Maffesanti
Foto Matteo Maffesanti

Will You Still Love Me Tomorrow? Domanda e risposta unite insieme. Nell’atto di chiedere è già implicita la tensione di una promessa potenziale pensata ieri, richiesta oggi e mantenuta domani. Ieri iniziato tre anni fa con il lavoro Folk-s (2012) perseguito attraverso Untitled_I Will Be There When You Die (2013) e conclusosi con Aurora, il cui debutto è stato presentato in prima assoluta durante Torinodanza Festival 2015 nella sala grande delle Fonderie Limone di Moncalieri. La ricerca di Alessandro Sciarroni, sostenuta con continuità da Marche Teatro, si è articolata in questi quattro anni attorno ai concetti di «resistenza, sforzo e concentrazione» sondati in tre lavori molto diversi tra loro ma caratterizzati da due elementi ormai distintivi e peculiari della “performing poetry” del coreografo: la pratica della decontestualizzazione e il gioco. Presupposti non solamente artistico-concettuali ma comunicativi e quindi di aggregazione, utilizzati drammaturgicamente al fine di creare una vera e propria comunità di visione, dove lo spettatore è strettamente legato al performer da una relazione biunivoca basata sul patto nel caso di Folk-s, la fiducia in Untitled e il rito sportivo in Aurora.

Le variabili di spazio, tempo e poi ritmo – il quale assume una valenza coreografica e non solo temporale – hanno determinato la struttura portante dei precedenti lavori e in Aurora trovano piena sintesi nella scelta di lavorare con la pratica del goalball; sport paralimpico rivolto agli ipovedenti e non vedenti. Precludendo la vista dal senso indispensabile per praticarlo, il goalball sfrutta e affina dunque altre capacità sensoriali: l’udito e il tatto. Dieci performer di cui due arbitri e otto atleti; due squadre da tre giocatori e due riserve dovranno segnare nella porta avversaria tirando una palla che al suo interno possiede sonagli metallici. Lo spettatore prova quindi incredulità e straniamento quando, entrando in sala e sedendosi in poltrona, trova davanti a sé un campo da gioco con porte, linee di demarcazione, arbitri e atleti in divisa in attesa del fischio d’inizio. Stato di percezione “spostato” non solo perché è avvenuto un cambiamento nella fruizione (partecipiamo a un evento sportivo all’interno di un teatro) ma perché pensiamo di essere venuti a teatro per vedere la danza e invece di lì a poco inizieremo a sentirla.

Foto Matteo Maffesanti
Foto Matteo Maffesanti

Tutti i giocatori hanno gli occhi coperti da bende, al di sopra delle quali ciascun atleta indossa una maschera oscurante che non deve far filtrare alcuno spiraglio di luce. Tale condizione, che attiene strettamente alle regole del goalball, diventa lo strumento drammaturgico che travalica la disabilità: la differenza è annullata, chiunque voglia partecipare a questo gioco (spettatori inclusi come vedremo in seguito) non potrà ricorrere al senso della vista. Il silenzio sarà dunque totalizzante nella misura in cui fungerà da ambiente favorevole all’ascolto – gli arbitri ripeteranno spesso «quiet please!» – e sin dai primi minuti della partita si costruirà un universo di suoni musicato dagli stessi atleti che servirà loro per comunicare: schiocchi di dita, battiti di mani, fischi…

A questo punto risulterà spontaneo chiedersi: dov’è la danza? La danza è il conferire ritmo agli schemi tattici della partita e alle sue azioni come fossero una partitura coreografica da musicare, sia attraverso i suoni funzionali emessi dagli atleti, sia tramite la presenza di una musica, o più esattamente di un’onda sonora che avvolge le azioni senza sovrastarle. La musica giungerà poi a un preciso crescendo che sfocerà in rumore, distruggendo quel codice utilizzato dagli atleti per comunicare tra loro. Sarà la volta allora della rabbia, del grido sopra il frastuono, della ribellione al caos assordante che ha intaccato la forma e il suo dispiegarsi. Una cesura dopo la quale gli atleti potranno ricorrere all’uso della parola unito ai segni sonori. Il pubblico, dapprima spaesato, parteciperà totalmente alla partita e al suo avvincente andamento; farà il tifo per l’una o l’altra squadra, applaudirà e fischierà celebrando e prendendo parte al rito sportivo. Vedremo al buio. Saremo infatti in grado di padroneggiare gli strumenti offerti dalla performance per sensibilizzare la nostra percezione, diventando abili nel seguire la partita anche quando le luci – che in alcuni momenti colorano la scena come la rifrazione dei raggi solari – degraderanno fino alla totale oscurità.

Una pratica, innanzitutto. Processo testimoniato in Aurora un percorso di creazione, documentario proiettato al termine dello spettacolo, diretto e montato dall’artista audiovisivo Cosimo Terlizzi; il quale in questi due anni ha affiancato Sciarroni con l’occhio della videocamera tanto nella selezione e conoscenza degli atleti/performer – scelti in base alla cura del movimento e presenza scenica – quanto nelle varie fasi di lavoro sulla percezione (determinante la collaborazione con il coreografo Eric Minh Cuong Castaing e con la danzatrice Francesca Foscarini la quale ha ribadito l’importanza di insegnare un diverso lessico di riferimento che dalla danza ha incontrato lo sport). Il documentario non è finalizzato a un’opera di commento o di approfondimento; il linguaggio e la giustapposizione di determinate “scene di racconto” possiedono una tale autonomia di senso e d’interpretazione del percorso, da poterlo considerare come un’opera a sé stante che ha dato voce all’esperienza degli atleti, alla loro quotidianità e sopratutto al modo in cui hanno imparato a curare il corpo atletico per trasformarlo in corpo attoriale. Uno sforzo creativo e produttivo ingente che unisce congiuntamente centri italiani e stranieri, purtroppo non sufficientemente riconosciuto nel nostro paese visti i pochi spazi di programmazione, come sottolinea Sciarroni al termine dello spettacolo. Aurora è l’inizio di un nuovo corso, il vedere oltre e oltre gli occhi, come fosse la prima volta.

Lucia Medri
Twitter @LuciaMedri

AURORA
invenzione Alessandro Sciarroni
con Alexandre Almeida, Emmanuel Coutris, Charlotte Hartz, Matej Ledinek, Damien Modolo, Emanuele Nicolò, Matteo Ramponi, Marcel van Beijnen, Sebastian Barneveld, Dimirtri Bernardi
documentazione visiva, collaborazione drammaturgica Cosimo Terlizzi
luce Valeria Foti, Cosimo Maggini, Alessandro Sciarroni
musica
Pablo Esbert Lilienfeld
consulenza drammaturgica casting Sergio Lo Gatto
collaborazioni artistiche Francesca Foscarini, Francesca Grilli, Matteo Maffesanti, Eric Minh Cuong Castaing, Cosimo Terlizzi
styling Ettore Lombardi
sviluppo, promozione, consiglio Lisa Gilardino
amministrazione, produzione esecutiva Chiara Fava
casting, assistenza, ricerca Damien Modolo
ufficio stampa Beatrice Giongo
consulenza tecnico-sportiva Ettore Armani, Angelo De Meo, Aurora Zanolin

AURORA UN PERCORSO DI CREAZIONE
regia e montaggio Cosimo Terlizzi
produzione esecutiva Damien Modolo, Corpoceleste _C.C.00#
con il sostegno Fondation d’entreprise Hermès dans le cadre de son
programme New Settings

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Lucia Medri
Lucia Medri
Giornalista pubblicista iscritta all'ODG della Regione Lazio, laureata al DAMS presso l’Università degli Studi di Roma Tre con una tesi magistrale in Antropologia Sociale. Dopo la formazione editoriale in contesti quali agenzie letterarie e case editrici (Einaudi) si specializza in web editing e social media management svolgendo come freelance attività di redazione, ghostwriting e consulenza presso agenzie di comunicazione, testate giornalistiche, e per realtà promotrici in ambito culturale (Fondazione Cinema per Roma). Nel 2018, vince il Premio Nico Garrone come "critica sensibile al teatro che muta".

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