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La Baraque: l’attacco (terroristico) della risata

La Baraque andato in scena al Teatro India e inserito nel progetto europeo TERRORismi. Recensione

Foto Pascal Gély
Foto Pascal Gély

 Il 9 maggio, da una decina di giorni appena trascorso, è stata “una giornata particolare”. Molti gli eventi ricorsi: alla fine degli anni Settanta il ritrovamento del corpo di Aldo Moro in via Caetani, l’uccisione a Cinisi di Peppino Impastato, nel 1997 quella di Marta Russo e si aggiungono quest’anno le celebrazioni per il settantesimo anniversario dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Ebbene, come ha ricordato lo stesso Antonio Calbi nella presentazione, non sembrerebbe certo un caso se La Baraque, spettacolo scritto da Aiat Fayez – pubblicato presso la casa editrice francese l’Arche nel gennaio 2015 – e diretto da Ludovic Lagarde sia approdato, proprio in questo giorno, in prima nazionale al Teatro India. Lavoro che rientra nella sezione chiamata Guerre/Conflitti/Terrorismi, anticipando uno dei temi centrali della prossima stagione del Teatro di Roma.

Foto Pascal Gély
Foto Pascal Gély

Prodotto dalla Comédie de Reims – CDN nell’ambito del festival Reims Scènes d’Europe, La Baraque è inscritto in un progetto europeo più grande, TERRORismi-2013/2015, realizzato dall’Unione dei Teatri d’Europa (UTE), sostenuto dal programma Cultura della UE e facente parte di Conflict Zones al quale i sette teatri di Oslo, Stoccarda, Belgrado, Tel Aviv, Reims e Londra sono stati invitati a partecipare per realizzare un lavoro collettivo avente come tema il terrorismo. Da simili presupposti esplicativi di un’iniziativa piuttosto impegnata e riguardante uno dei temi più caldi dell’attualità, saremmo portati dunque ad aspettarci uno spettacolo drammatico e serioso; in realtà invece si tratta di un fumetto tridimensionale in carne d’ossa, i cui personaggi sono uomini con sembianze animalesche che potrebbero far venire in mente agli appassionati le creature disegnate da Juan Diaz Canales e Juanjo Guarnido per Blacksad, serie a fumetti pubblicata dall’editore francese Dargaud.

In lingua francese con sopratitoli in italiano, scopriamo tra risate e colpi di scena un po’ clowneschi, la storia paradossale di Grand e Petit che decidono per noia e sfregio di occupare la loro quotidianità da giovani disoccupati fabbricando bombe artigianali da far esplodere davanti un’azienda di calzature, per vendicarsi delle suole troppo lisce e scivolose delle scarpe di Petit che l’hanno fatto cadere dalla finestra. Ma quest’atto di spropositata ribellione, sorretto da motivazioni piuttosto ingenue, proprie a una ragazzata, attira l’attenzione di ambigui boss che iniziano così a finanziare la fabbricazione di questi ordigni casalinghi, creando la fortuna e il graduale arricchimento dei due ragazzi. Nonostante la maggior parte di queste bombe venga utilizzata per scatenare colpi di stato e attacchi terroristici, la comica coppia continua a dichiararsi estranea a qualsiasi ideologia o complotto politico. Semplice, immediata, pratica e di grande risonanza, la scalata per diventare fabbricanti d’armi finanziando insurrezionalisti e dittatori non è mai stata così rapida. Ascesa rappresentata scenicamente attraverso quadri autonomi, come fossero delle strip di un fumetto indicanti lo scorrere delle settimane, inframezzati da inserti video, musica elettronica e avvolti da un’accurata regia luci dal carattere surreale e psichedelico.

Foto Pascal Gély
Foto Pascal Gély

Gli attori – utilizzando il registro familiare della lingua francese che si concede inoltre il vezzo di abbassarsi, dove necessario e mai fuori luogo, al turpiloquio – sono abili nell’usare voce e gestualità per caratterizzare i personaggi e rendere grottesco lo spiccato antropomorfismo: il Mastino è scomposto, sbava e si versa l’acqua addosso quando beve, il Gatto è elegante e longilineo e si contraddistingue per un forte accento russo, il Panda è imprevedibile e inquietante con la sua voce nasale e stridula.

Un’ora e venti è forse un tempo eccessivamente lungo, poiché la drammaturgia sembra rimanere incagliata in digressioni e ripetizioni che potrebbero essere evitate; ciononostante colpisce l’immediatezza e la diretta essenzialità con la quale l’ensemble affronta con sarcasmo, ironia e cinismo, una simile tematica. Inevitabile pensare alla drammatica coincidenza che vede questo spettacolo nato da un testo pubblicato lo stesso mese dell’attentato alla sede del giornale Charlie Hebdo, evento che ha scosso la Francia e il mondo intero nei primi giorni di gennaio. Si può ridere quindi del terrorismo? La risposta è allora affermativa. Sì, perché il finale paradossale de La Baraque ci svela il sistema meschino per il quale a un’azione naïf corrisponde una reazione più grande e volutamente corrotta, tale da incastrarci come inconsapevoli pedine e sì, perché è attraverso il riso della comicità che il teatro si fa beffa, accusando deliberatamente.

Lucia Medri
Twitter @LuciaMedri

visto al Teatro India-maggio 2015

LA BARAQUE
testo Aiat Fayez
drammaturgia Marion Stoufflet
regia Ludovic Lagarde
con Julien Allouf, Florence Janas, Alexandre Pallu
Tom Politano, Samuel Réhault, Julien Storini
scenografia Antoine Vasseur
costumi Marie La Rocca e Gwendoline Bouget
video Stéphane Bordonaro
suono David Bichindaritz
Produzione Comédie de Reims–CDN / Reims Scènes d’Europe

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Lucia Medri
Lucia Medri
Giornalista pubblicista iscritta all'ODG della Regione Lazio, laureata al DAMS presso l’Università degli Studi di Roma Tre con una tesi magistrale in Antropologia Sociale. Dopo la formazione editoriale in contesti quali agenzie letterarie e case editrici (Einaudi) si specializza in web editing e social media management svolgendo come freelance attività di redazione, ghostwriting e consulenza presso agenzie di comunicazione, testate giornalistiche, e per realtà promotrici in ambito culturale (Fondazione Cinema per Roma). Nel 2018, vince il Premio Nico Garrone come "critica sensibile al teatro che muta".

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