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Gli Oblivion e il varietà: prima visita al Salone Margherita

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Gli Oblivion al Salone Margherita fino al 1° febbraio con Oblivion.Zip. Recensione

oblivion riccardo ruspi 2
Foto Riccardo Ruspi

Al Salone Margherita non ci eravamo mai stati. La nostra prima visita a questo luogo, conosciuto a molti se non altro per reminiscenze di ribalte televisive, ci trascina in un’atmosfera relativamente desueta, forse per molti aspetti distante dalle nostre abitudini teatrali: un evento performativo e la sua fruizione, si sa, cominciano spesso prima dell’ingresso in sala, nell’osservazione e percezione dell’ambiente, quasi ci fosse una temperatura, quasi si creasse un microcosmo fatto di dinamiche ed elementi che lo raccontano, lo caratterizzano. Con la coda dell’occhio a scorgere Piazza di Spagna, superata la porta di via dei Due Macelli, troviamo un foyer popolato di sorrisi, saluti e presentazioni, fra tagli di cappotto sartoriali, altri che di sartoriale hanno l’aspirazione, molti tacchi alti, cappelli tenuti in testa anche dopo aver scongiurato l’aggressione del freddo invernale, volti e mise più ordinarie, fisionomie provenienti da pomeriggi di zapping seppure difficili da focalizzare e qualche maschera cui la ricerca di una bellezza anacronistica ha plastificato l’espressione senza riuscire però a gabbare l’anagrafe. Entrati nell’antisala che costeggia la platea, la stessa dove durante l’intervallo ci servono pasta all’arrabbiata e si può magiare un gelato crema e cioccolato avvicinandosi al carretto, cinque o sei fotografi rubano scatti e pose non senza trovare disponibilità dei soggetti in una sorta di frame da La dolce vita, cinquant’anni dopo. Sarà  l’architettura, l’oggettiva bellezza delle incursioni art nouveau, ma per molti aspetti il tempo al Salone Margherita sembra un altro, sembra essersi fermato su oasi di cabaret, oppure sembra si fermi nel ri-prodursi della micro-società della riproduzione.

Foto Riccardo Ruspi
Foto Riccardo Ruspi

Tuttavia la nostra prima visita coincide anche e soprattutto con Oblivion.Zip, spettacolo che gli Oblivion portano in scena sino al 1° febbraio. Quando prendiamo posto il palcoscenico ci svela già un guardaroba pieno di vestiti e costumi di ogni foggia, parrucche, oggetti e casse di legno; poco dopo sono i cinque interpreti a chiedere alla platea di segnare i nomi del cantante preferito su dei bigliettini, verranno riutilizzati nel corso della performance. Quello che prende corpo è un vero e proprio varietà a base musicale, costruito in numeri che molto devono alla leggerezza di un’ironia poco cervellotica, semplice quanto basta a non risultare supponente pur lasciando trapelare la conoscenza dei meccanismi raffinati del modello teatro-canzone. L’ensemble, nato a Bologna una decina di anni fa nell’ambito del musical, ha d’altronde avuto modo di sperimentare questo genere di struttura performativa già con Othello la H è mutaOblivion Show, Oblivion Show 2.0, I promessi esplosi o Far finta di essere G. Tra continui cambi d’abito e azioni comiche, una quantità enorme di pezzi del patrimonio melodico nazional-popolare viene montata riadattando i versi e conservando grossomodo la metrica per riproporre in pochi minuti e in chiave parodistica opere letterarie o cinematografiche: Pinocchio, I promessi sposi, Avatar, La Divina Commedia. A fare da collante secondo un ritmo scenico efficace sono delle gag in cui al mimo si avvicendano piccole scenette, duetti, pezzi corali armonicamente più complessi con l’intento, spesso riuscito, di accaparrarsi un sorriso, meglio ancora, più canonicamente, di “far ridere”. Le perplessità sulle ridondanze, che potrebbero rischiare di far sembrare il secondo tempo poco più di una serie di variazioni sul tema degli sketch del primo, si neutralizzano grazie all’estrema agilità che i “cantattori” – coscienti e padroni della vocalità e dotati di una verve centrata sulla situazione – riescono a dimostrare, come fosse naturale la maestria che serve di fatto a conciliare una “drammaturgia cantata” con la presenza scenica.

Si diceva di una sensazione altra del tempo: riattraverseremo le luci arancio del centro bagnato dalla pioggia ripetendoci che «la voluttà d’esser fischiati», la chiamava Marinetti, ogni tanto può ammorbidirsi e concedere allo spettatore il bisogno di farsi una risata.

Marianna Masselli
Twitter @Mari_Masselli

Visto al Salone Margherita, Roma, in gennaio 2015

OBLIVION.ZIP
con Graziana Borciani, Davide Calabrese, Francesca Folloni, Lorenzo Scuda, Fabio Vagnarelli
Testi degli Oblivion
Arrangiamenti musicali di Lorenzo Scuda
Scene Dante Ferrari
Audio – Giuseppe Pellicciari e Corrado Cristina
(Mordente Music Service)
Tour manager – Erika Ripamonti
Per la Distribuzione BaGS Entertainment
Organizzazione e booking – Matteo Mantovanelli
Ufficio Stampa – Cristina Atzori
Management – Paolo Scotti
Una produzione Malguion s.r.l.

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Marianna Masselli
Marianna Masselli
Marianna Masselli, cresciuta in Puglia, terminato dopo anni lo studio del pianoforte e conseguita la maturità classica, si trasferisce a Roma per coltivare l’interesse e gli studi teatrali. Qui ha modo di frequentare diversi seminari e partecipare a progetti collaterali all’avanzamento del percorso accademico. Consegue la laurea magistrale con una tesi sullo spettacolo Ci ragiono e canto (di Dario Fo e Nuovo Canzoniere Italiano) e sul teatro politico degli anni '60 e ’70. Dal luglio del 2012 scrive e collabora in qualità di redattrice con la testata di informazione e approfondimento «Teatro e Critica». Negli ultimi anni ha avuto modo di prendere parte e confrontarsi con ulteriori esperienze o realtà redazionali (v. «Quaderni del Teatro di Roma», «La tempesta», foglio quotidiano della Biennale Teatro 2013).

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