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DNA14: La comunità si allarga

DNA14, recensione degli spettacoli della rassegna di Danza Nazionale Autoriale organizzata dalla Fondazione Romaeuropa

 

foto ufficio stampa
Foto Ufficio Stampa

Sono passati cinque anni dalla nascita della piattaforma DNA, acronimo di Danza Nazionale Autoriale, lasso di tempo che ci ha permesso di osservare come l’interesse del pubblico verso questa rassegna – diretta da Anna Lea Antolini responsabile Promozione Danza per conto della Fondazione Romaeuropa – sia cresciuto considerevolmente, creando attorno a sé un bacino di spettatori che si allarga anno dopo anno. Sin da subito DNA si è contraddistinto come spazio e tempo privilegiato da dedicare totalmente alla danza contemporanea, in particolar modo alla produzione giovanile. Coloro che l’hanno seguito dal primo anno ricorderanno sicuramente il clima di familiarità e ascolto degli incontri pomeridiani e serali, tenuti all’interno dell’Opificio Telecom Italia o al passato Teatro Palladium: studenti, giovani danzatori, coreografi e critici seduti a terra con taccuini alla mano per conoscere cellule di lavori, embrioni di studi, all’insegna di un’esperienza condivisa fatta di ascolto e domande.

DNA14 giunge dunque alla sua quinta edizione e al secondo anno per la partecipazione di compagnie e danzatori internazionali; un cartellone di eventi che, seppur mantenendo il focus sul sostegno a potenziali lavori attraverso la sezione Appunti coreografici, ha presentato spettacoli autonomi e conclusi e ben otto prime nazionali. La piattaforma sembra essere diventata adulta; un polo di attrazione per gli appassionati della danza contemporanea che ha saputo convogliare attorno a sé un pubblico numeroso ed eterogeneo affollando la scorsa settimana (dal 4 al 9 novembre, alcune sere col tutto esaurito) le sale romane del Teatro Vascello e del Teatro Piccolo Eliseo. Avvalendosi inoltre della collaborazione con la Regione Lazio nella figura di Roberta Nicolai, quest’anno DNAmeets Anticorpi XL, nella seconda serata al piccolo teatro di Via Nazionale, ha presentato lo spettacolo finalista al Premio Equilibrio 2014Tame Game, del coreografo Moreno Solinas: una riflessione sul gesto limitato e confinato in una sorta di addomesticamento, oscillando tra la parodia e l’ironia. A questo trio di danzatori (Solinas insieme a Csaba Molnár e Igor Urzelai) è seguita la danza serafica ma incisiva di Claudia Catarzi col suo Intorno al fatto di cadere. Partendo dalla contrainte fisica di trovarsi dalla vita ai piedi infilata in un cono di carta che le impedisce il movimento, la coreografa dà il via a una partitura di gesti che coinvolge braccia, busto e testa, in continuo ascolto dei limiti e possibilità che la posizione le concede. Fuoriuscita dal bozzolo cartaceo, Catarzi si abbandona a una romantica danza e sposta quindi l’indagine dalla parte superiore a quella inferiore del corpo, costruendo così una partitura di movimenti rigorosa ma uniformata dalla grazia di una marionetta biomeccanica.

Foto Ufficio Stampa
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Lasciando le atmosfere algide di questo solo, restiamo diverititi dall’ironia di The Fifteen Project| Duet, insolito passo a due coreografato da Arno Schuitemaker in collaborazione coi danzatori Manel Salas Paul e Mitchell-Iee van Rooj. Semplice, efficace e immediato. Una sfida in cui i due, dopo essersi presentati singolarmente, si imitano l’uno con l’altro fino a fondersi passando attraverso una serie di partiture coreografiche che reinventano stilemi della Postmodern Dance. Non è difficile scorgere l’attualizzazione di un codice, come quello della americana Trisha Brown, accennato all’inizio in una serie di giovani accumulation. Corpi slanciati, gambe lunghe e possenti, sono quelle delle danzatrici di Ferrum, secondo passo a due che chiude la serata, coreografato dall’olandese di origini israeliane Itamar Serussi. La purezza della forma incontra i fisici longilinei delle due danzatrici, creando una coreografia di grande perfezione estetica. La presenza scenica di entrambe poggia sulla dualità di opposti e contrari, luci e ombre, chiaro e scuro, in un’atmosfera essenziale e meccanica in cui i corpi tesi e appuntiti sono come inseriti in un circuito, scaricando elettricità a ogni movimento.
La coreografa belga Louise Vanneste approda a DNA in prima nazionale con Black Milk al Teatro Vascello. Due esploratrici senza tempo abitano il biancore sfocato di un’alba, dove si delineano i contorni di quello che sarà un campo di analisi, sterile e asettico. La coppia seziona chirurgicamente lo spazio attraverso una gestualità che fende l’aria in molteplici traiettorie. Isolate, distanti e irragiungibili, danno vita a una coreografia densa e lattiginosa nella quale il gesto sussiste di per sé, senza l’urgenza di una narratività, scalfito e imbrigliato nella sua forma, stancando per sessanta minuti lo spettatore.

Foto Ufficio Stampa
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Chiudiamo la nostra parziale prospettiva con DNAmemory rappresentata da due storici coreografi italiani: Virgilio Sieni e Raffaella Giordano. Il primo, dopo l’esperienza di Cerbiatti del nostro futuro, crea nel 2013 il progetto Butterfly Corner con quattro giovani danzatrici, impegnate stavolta in Indigene, presentato la penultima sera a La Pelanda, ex mattatoio di Testaccio. In ascolto simpatetico con la musica suonata dal vivo dall’ensemble De Rerum Mechanica, le danzatrici – Bettina Bernardi, Noemi Biancotti, Virginia Cervelli Montel, Linda Pierucci – abbandonano la loro freschezza adolescenziale per presentare una coreografia adulta dalla grande precisione formale e stilistica. Seriose e professionali sotto lo sguardo del coreografo seduto a terra, sono dapprima cerbiatti, malinconici arlecchini e poi energiche ninfette. Un difficile lavoro che esse assolvono con maturità e sacrificio, sorreggendosi l’una all’altra tramite un amicale abbraccio o presa di mano.
Raffaella Giordano  tra i fondatori del collettivo Sosta Palmizi – ripresenta invece nell’ultima serata il solo Fiordalisi, creato nel 1995. Il pubblico è in silenzio e attento a questa biografia danzata che ripercorre tra visione e realtà una storia di essenziale e poetica femminilità. Molti i rimandi al teatro danza bauschiano, nella gestualità, nelle espressioni e nella presenza della stessa Giordano, che se da una parte ci consegna una confessione danzata intima e personale, sembra però rifarsi in maniera eccessiva all’immaginario iconografico di Café Müller.
Oltre agli spettacoli in programma, DNA è innanzitutto formazione e lo dimostrano i numerosi progetti che costellano le serate durante il corso della rassegna. È stimolante poter scorgere nel foyer gruppi di studenti che partecipano a discussioni riguardo gli spettacoli o danno vita a iniziative parallele.

Un dialogo continuo e intenso fa sì che la comunità di DNA si allarghi a ogni edizione, presentandosi come una realtà viva del “fare danza” in tutte le sue accezioni, dal punto di vista coreografico innanzitutto, ma anche sociale e culturale. Il dna si è replicato, attendiamo sintesi future che diano vita a nuove generazioni.

Lucia Medri
Twitter @LuciaMedri

TAME GAME
Coreografia: Moreno Solinas in collaborazione con Igor Urzelai e Csaba Molnar
Danzatori: Moreno Solinas, Igor Urzelai e Sebastian Langueneur
Musica: Alberto Ruiz Soler
Luci: Seth Rook Williams
Scenografia e Costumi: David Harris

INTORNO AL FATTO DI CADERE
di e con Claudia Catarzi
produzione Company Blu
con il sostegno di Fondazione Teatro Metastasio Stabile della Toscana, Graner/Mercat de Les Flors, CSC/Casa della Danza di Bassano del Grappa, Armunia/Castiglioncello, Centro coreografico de la Gomera/Isole Canarie, STUDIO 44/ Constanza Macras | DorkyPark

The Fifteen Project | DUET
ideato e coregrafato da Arno Schuitemaker (in collaborazione con i danzatori)
con Manel Salas Palau, Mitchell – Lee Van Rooij
musica Wim Selles
luci Ellen Knops
costumi Judith Abels
un ringraziamento a Guy Cools

FERRUM
coreografia Itamar Serussi
con Genevieve Osborne, Milena Twiehaus
musica Richard van Kruysdijk
disegno luci Ate Jan van Kampen
stage design Florian Verheijen
costumi Jorine van Beek
produzione Danshuis Station Zuid

INDIGENE
coreografia Virgilio Sieni
musica originale Giovanni Dario Manzini
una commissione de La Biennale di Venezia
eseguita dal vivo dall’ensemble De Rerum Mechanica: Francesco Checchini flauto, Pietro Montemagni violino, Emanuele Caligiuri viola, Giorgio Marino violoncello
interpreti Bettina Bernardi, Noemi Biancotti, Virginia Cervelli Montel, Linda Pierucci.
produzione La Biennale di Venezia
in collaborazione con Settori Danza e Musica della Biennale di Venezia, Regione Toscana, Accademia sull’arte del gesto

FIORDALISI
coreografia e interpretazione Raffaella Giordano
luci Maurizio Viani
musiche originali Bruno de’ Franceschi
collaborazione alla drammaturgia Danio Manfredini
esecuzione tecnica Marco Cassini
produzione Associazione Sosta Palmizi 1995
in collaborazione con Comune di Longiano (FO) e Comune di Cortona (AR)
si ringraziano inoltre Clelia Moretti per la collaborazione al progetto, Hubert Westkemper per l’editing audio, Giovanni Vitaletti per l’esecuzione al pianoforte
registrazioni effettuate presso Baby Record – Milano

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Lucia Medri
Lucia Medri
Giornalista pubblicista iscritta all'ODG della Regione Lazio, laureata al DAMS presso l’Università degli Studi di Roma Tre con una tesi magistrale in Antropologia Sociale. Dopo la formazione editoriale in contesti quali agenzie letterarie e case editrici (Einaudi) si specializza in web editing e social media management svolgendo come freelance attività di redazione, ghostwriting e consulenza presso agenzie di comunicazione, testate giornalistiche, e per realtà promotrici in ambito culturale (Fondazione Cinema per Roma). Nel 2018, vince il Premio Nico Garrone come "critica sensibile al teatro che muta".

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