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Taccuino critico. Lolita, Ionesco e un pesce rosso

Studio sulla vecchiaia appoggiati sulle sedie di Ionesco, Lolita, e Il dolce mondo vuoto. Recensioni brevi

Tra le molteplici offerte teatrali, sul Taccuino Critico si appuntano segni di sguardi diversi che rispondono a un’unica necessità: osservare, testimoniare, dar conto dell’espressione pura, del piccolo e grande teatro…

ionesco
Foto Ufficio Stampa

STUDIO SULLA VECCHIAIA APPOGGIATI SU LE SEDIE DI IONESCO
diretto e interpretato da Patrizia D’Orsi e Marco Carlaccini – Compagnia Ginepro Nannelli
interventi sonori Claudio Rovagna
costumi Antonella D’Orsi Massimo
disegno luci Giuseppe Romanelli
tecnico luci Giulia Belardi
comunicazione Olga Carlaccini

Studio sulla vecchiaia appoggiati su Le sedie di Ionesco: da questa dicitura ci si aspetterebbe dunque di andare a vedere una performance in via di definizione e che riproponga pressappoco la pièce del drammaturgo francese. Né l’uno né l’altro presupposto tuttavia si avvera esattamente nell’atto unico in scena alla Casa delle Culture, che di uno spettacolo fatto e finito ha una certa autonomia e conclusione formale. L’ispirazione del testo di Ionesco rimane come idea e input di partenza, quasi fosse fonte di tracce disseminate in prospettiva di un rifacimento drammatico con minore acredine narrativa e forse un pizzico di retorica in più. Poco male, in parte, se si considerano tre pregi fondamentali: la padronanza interpretativa dei protagonisti – Marco Carlaccini e Patrizia D’Orsi –, l’evidente ricerca di un’efficacia per l’architettura rappresentativa e non ultimo il senso della misura ovvero, cosa purtroppo non scontata, l’aver compreso il momento in cui segnare il finale. Il vecchio e la vecchia, figure consunte in una caricatura di bianco integrale, traghettano il dialogo iniziale sino alla conferenza per quei molti giunti ad ascoltare conclusioni su una verità impossibile da trarre come lemma assoluto. Ritmo e dosaggio delle azioni, un tentativo di esperimento delle traiettorie in palcoscenico uniti al controllo e all’uso di diversi registri vocali, aiutano sia il prodromo con i cenni della loro esistenza sia il prosieguo immaginario, in cui l’afflusso di persone è reso dalla traslazione nello spazio delle uniche due sedie che si sovrappongono di continuo. Insomma meglio a volte una discrezione opportuna di una memorabile e fallita supponenza di capolavoro.

Marianna Masselli
Twitter @Mari_Masselli

Fino al 22 giugno 2014 Casa delle Culture, Roma

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Foto Manuela Giusto
Foto Manuela Giusto

LOLITA
drammaturgia e regia Ilaria Testoni
con Mauro Mandolini, Annalisa Biancofiore, Barbara Bengala, Paolo Benvenuto Vezzoso e la giovane Virginia Ferruccio nel ruolo di Lolita.

Sembrerebbe che poco resti da dire che non sia già stato detto e tutto, facilmente, giunge alla saturazione. Lolita: una storia, un amore, uno scandalo, il nome diventato poi aggettivo. Spogliato di tutte le pesantezze teoriche e interpretative, nella sua accattivante bellezza il romanzo – scritto da Vladimir Nabokov nel 1955 – rappresenta la provocazione per antonomasia, lanciata in un contesto storico ancora pudico e conservatore. Al Teatro Arcobaleno, per la regia di Ilaria Testoni va in scena l’omonimo adattamento con Mauro Mandolini, Barbara Bengala, Paolo Benvenuto Vezzoso e la giovane Virginia Ferruccio nel ruolo di Lolita. Attraverso una drammaturgia essenziale, che segue di pari passo lo svolgersi degli eventi nel testo, si snoda il racconto dell’amore incestuoso del Prof. Humbert per la «ninfetta». I numerosi soliloqui del professore rendono labile il confine tra la vittima e il carnefice, arrivando a giustificare e comprendere Humbert per il suo amore: «un paradiso illuminato dai bagliori dell’inferno». Nonostante siano passati quasi sessant’anni dalla sua pubblicazione, Lolita continua ancora a suscitare pruderie e risatine maliziose avvertite in sala durante lo spettacolo.Testoni realizza un adattamento poco innovativo, che non va oltre il già noto, restituendo una copia seppur rispettosa del romanzo, prendendo inoltre ispirazione dall’omonimo film del 1997 di Adrian Lyne, del quale viene proiettata la sequenza relativa alla morte di Charlotte Haze.

Lucia Medri
Twitter @LuciaMedri

visto al Teatro Arcobaleno in maggio 2014

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Foto Ufficio Stampa
Foto Ufficio Stampa

IL DOLCE MONDO VUOTO
Scritto e diretto da Francesca Staasch
Con Lino Guanciale
Video Francesca Staasch
Musiche originali Tony Virgillito
Prodotto da Skin Trade

Il dolce mondo vuoto. Ancor meglio, svuotato di quella che per noi è presenza fondamentale di un paesaggio che si dica vivo: l’uomo. In relazione a questo senso di perdita improvviso – al pari della morte di uno scoiattolo, la definisce il  protagonista – si può tentare di reagire e le vie sono molteplici: si può guardare una partita, cercare la bellezza  nella propria silente compagna di visione, si potrebbe fare come quel pesce rosso che tenta il suicidio in un salto fuori dalla boccia. Oppure, ed è questo ciò che accade al protagonista di questo monologo scritto e diretto da Francesca Staasch, si può rinunciare ad agire, diventando invisibili, così da cancellare ogni tristezza, ogni dolore, alla ricerca di un attimo di fugace felicità, rivelando però un’impossibilità di contatto nel marcare quel dolore che si tenta di zittire. Sulla scena del Teatro Tordinona, Lino Guanciale dà voce e corpo a due storie, in un continuo alternarsi tra passato e presente, interpretando brillantemente i due caratteri, senza risparmiarsi, tra la vorace ingenuità infantile e la (fittizia?) spavalderia adulta. Seduto avanti a un paesaggio urbano proiettato – raccolto negli anni dalla stessa regista – in un flusso continuo nonostante la presenza dell’attore, la sensazione è la stessa di quella raccontata dal protagonista adulto: egli non è che ombra, incapace di modificarne il corso degli eventi. Un racconto sull’elaborazione del dolore, il quale grazie anche al tessuto sonoro (composto per l’occasione da Tony Virgillito) contribuisce a far entrare lo spettatore con sorda prepotenza in quest’atmosfera ovattata. Le sonorità diventano partitura dei pensieri, lasciandoci impotenti, seduti sulle nostre sedie mentre osserviamo la mano che vorrebbe cercare un contatto, non perchè si sia a teatro, bensì perché quello sguardo mancante ne ha segnato il definitivo distacco dal mondo.

Viviana Raciti
Twitter @viviana_raciti

Visto al Teatro Tordinona in maggio 2014

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