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Taccuino Critico. Janis, Garrincha e gli 84 gradini

Da Limnesia al Fringe passando per le Scuderie di Villino Corsini. Recensioni brevi degli spettacoli di Patas Arriba Teatro, Giancarlo Fares e Giuseppe Mortelliti

 

Tra le molteplici offerte teatrali, sul Taccuino Critico si appuntano segni di sguardi diversi che rispondono a un’unica necessità: osservare, testimoniare, dar conto dell’espressione pura, del piccolo e grande teatro…

 

jansi la janis sbagliata patas arriba teatro recensione
foto Pamela Adinolfi

JANSI LA JANIS SBAGLIATA
/ Patas Arriba Teatro /
con Valentina Conti
testo di Adriano Marenco con squarci di Alessandra Caputo
regia di Simone Fraschetti
spettacolo vincitore IV FESTIVAL DCQ-INVENTARIA 2014 nella sezione MONOLOGHI PERFORMANCE

Jansi la Janis sbagliata della compagnia Patas Arriba Teatro è uno spettacolo, scritto da Adriano Marenco e diretto da Simone Fraschetti, che in questa stagione ha avuto modo di mettersi in mostra più volte in diversi teatri off romani. Abbiamo avuto modo di vederlo a Limnesia rassegna indipendente all’Ex-Snia, nel parco delle Energie. Qui il palco accoglieva una distesa di terra nella quale la Janis descritta da Marenco (il testo è edito da Progetto Cultura nella collana Scena Muta) si sarebbe rotolata per l’intero show. L’antieroina del rock per eccellenza si presenta al pubblico come tutti la aspettano, sporca, cattiva e anticonvenzionale. Un rimpianto su tutti: essere morta qualche giorno dopo Jimi Hendrix. Valentina Conti non si risparmia nel fisico sacrificando il proprio corpo, arrivando quasi a mangiare la terra e a infilarsi il collo della bottiglia del mitico Southern Comfort (il whisky di Joplin) in gola, ma la recitazione verbale è affettata, lontana da quella verità di cui una messinscena del genere avrebbe bisogno. Ci sono le liriche delle canzoni, ben cucite da Marenco nel testo, emerge l’infanzia texana, la figura della diva bruttina, gli eccessi e il mantra della voce come unico appiglio, un talento religiosamente venerato. Purtroppo è tutto qui: la drammaturgia gira a vuoto senza sorprendere, l’evoluzione che giustificherebbe anche la strizzata d’occhio del titolo (il quale fa intendere un personaggio doppio, sbagliato rispetto all’originale), non arriva e per cinquanta minuti si assiste alla performance di un’attrice che si consuma senza motivo, per uno spettacolo incapace di andare oltre la superficie.

Andrea Pocosgnich
Twitter @andreapox

Parco delle energie, ex-Snia, Rassegna Limnesia, giugno 2014

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GARRINCHA- L’ANGELO DALLE GAMBE STORTE
di Franco Valeriano Solfiti e Giancarlo Fares
con Franco Valeriano Solfiti e Pietro Petrosini
regia di Giancarlo Fares

Foto Ufficio Stampa
Foto Ufficio Stampa

La «bola» per Manoel Francisco dos Santos è stata tutto, un’ «amica, amante e compagna» tranne che una palla. Ala destra della nazionale brasiliana dal 1955 al 1966, Garrincha – soprannome datogli dalla sorella che indica la razza di un uccello dalle piccole dimensioni – era innanzitutto «la gioia del popolo», l’uomo il cui ricordo commuove ancora.
Nel pieno delle giornate dedicate al campionato mondiale di calcio, alle notti insonni e a quei novanta minuti di trepidanti emozioni condivise, al Teatro Scuderie Villino Corsini Garrincha – l’angelo dalle gambe storte ripercorre la biografia di colui che insegnò al mondo l’amore per ciò che, prima del suo sorridente ingresso nella Seleção, era solo uno sport. Uno spettacolo di teatro di narrazione di e con Franco Valeriano Solfiti diretto da Giancarlo Fares e la partecipazione di Pietro Petrosini alle percussioni. Partendo da una sfida a calcetto tra «Er Più de Testaccio e Er Più de Trastevere», la narrazione si allarga alla storia calcistica internazionale giungendo fino a una favela di Pau Grande per parlare di Mané Garrincha. Il racconto di Solfiti è emozionante, visionario e incredibilmente vivido, accompagnato da un’energica gestualità con la quale mima i celebri dribbling del calciatore ricreando, senza l’aiuto di scenografie o di oggetti scenici, atmosfere e luoghi relativi a quegli anni. Narrazione anacronistica che inizia con la carriera di Mané, per poi tornare indietro al giorno della sua nascita e concludersi con la triste immagine dell’«angelo» su di un carro allegorico nel Carnevale del 1980. Parlare di calcio non è affatto semplice, il rischio è di rendere la conversazione uno sterile chiacchiericcio da talk show televisivo; Solfiti riesce invece a fare storia con semplicità, la stessa che contraddistingueva la passione di Garrincha.

Lucia Medri
Twitter @LuciaMedri

Teatro Scuderie Villino Corsini, Giugno 2014

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mortelliti 84 gradini
foto Alessio Trerotoli

84 GRADINI
di e con Giuseppe Mortelliti
scenografia di Simone Martino
consulenza musicale di Francesco Leineri

Un gradino dietro l’altro si sale, o si scende, una vita. Ne servono ottantaquattro a Giuseppe Mortelliti per riconoscere, lungo il percorso accidentato di un’esistenza, i propri desideri e le manie che danno forma concreta al saliscendi. Insomma, ciò di cui è fatto e ciò a cui aspira. 84 gradini, in scena sul palco del Roma Fringe Festival 2014, è un monologo ben speso che affronta il tema della maturazione, delle tappe fondamentali perché si affermi di una vita la riconoscibilità. Già, perché è questo il dilemma: siamo oggi capaci di comporre una vita che sarà oltre ricordata? La velocità non produce che polvere attorno alle azioni, le rispedisce al mittente, annienta i possibili risultati. Mortelliti, con pochi elementi di scena il cui utilizzo strumentale ricorre con efficace continuità, si distingue per un’energia fuori dal comune, rintraccia elementi collettivi nella propria personale ascesa dei gradini, dà prova di una vitalità espressiva notevole, pur se non ancora matura dal punto di vista della composizione drammaturgica. L’amore, la paternità, le responsabilità di una vita a cui non siamo preparati, in questi nodi si stringe il suo racconto, ironico e a tratti poetico. Attore energico, con una grana vocale sporca e intrigante, da seguire per il futuro.

Simone Nebbia
Twitter @Simone_Nebbia

Villa Mercede, Roma Fringe Festival, Giugno 2014

 

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Andrea Pocosgnich
Andrea Pocosgnichhttp://www.poxmediacult.com
Andrea Pocosgnich è laureato in Storia del Teatro presso l’Università Tor Vergata di Roma con una tesi su Tadeusz Kantor. Ha frequentato il master dell’Accademia Silvio D’Amico dedicato alla critica giornalistica. Nel 2009 fonda Teatro e Critica, punto di riferimento nazionale per l’informazione e la critica teatrale, di cui attualmente è il direttore e uno degli animatori. Come critico teatrale e redattore culturale ha collaborato anche con Quaderni del Teatro di Roma, Doppiozero, Metromorfosi, To be, Hystrio, Il Garantista. Da alcuni anni insieme agli altri componenti della redazione di Teatro e Critica organizza una serie di attività formative rivolte al pubblico del teatro: workshop di visione, incontri, lezioni all’interno di festival, scuole, accademie, università e stagioni teatrali.   È docente di storia del teatro, drammaturgia, educazione alla visione e critica presso accademie e scuole.

3 COMMENTS

  1. Su Jansi io ho visto l’esatto contrario di Andrea.
    Non mi aspettavo certamente quella Janis. Basterebbe conoscere la vita di Janis e scoprire che lo spettacolo racconta altro, riuscendo nell’impresa a farti vivere quel mondo.
    Forse Andrea è caduto nello spettacolo così tanto che pensa di aver visto quello che nello spettacolo proprio non c’è: Janis come tutti se l’aspettano…
    Secondo me il problema è nel linguaggio e nell’attrice che si dona ma non mi fa vedere che quello è teatro.
    Se un mago si taglia una mano con il coltello, io rimango sbigottito e inorridito, poi quando il mago mi fa vedere la mano senza ferita, ho visto che è tutto finto e sono sollevato e contento per aver visto “il teatro”, quel gioco.
    Valentina Conti e Jansi non aprono la mano…

    Se vi siete persi Garrincha siete pazzi! In 7 anni che esiste che avete fatto?
    Andate pure il 4 luglio a piazza S.Callisto e smettete di andare a vedere i soliti spettacoli…

    • Scusa Dario,
      potresti spiegare in che senso non ti aspettavi quella Janis? Non ti aspettavi la storia della ragazza “bruttina”, ma affascinante, la morte per overdose, la retorica sulla voce da nera, la bottiglia di Southern Comfort, insomma la hippy geniale, ma dannata? Sono io troppo complicato a vedere in tutto questo qualcosa di troppo facile? Reso poi ancora più facile da una recitazione affettata e ricchissima di pathos.

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