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10 motivi per stare alla larga da bandi e rassegne a pagamento

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Bandi per festival, rassegne e premi teatrali in cui è l’artista dover pagare: 10 motivi per non partecipare

 

10 motivi bando festival a pagamento sachagoldberger 1
foto Sacha Goldberger fonte: www.partfaliaz.com/

Negli ultimi tempi lo strumento del bando pubblico è sempre più utilizzato da compagnie, teatri, rassegne, collettivi, gruppi informali per organizzare eventi di qualsiasi natura. L’immagine di una selezione aperta, trasparente e senza macchia è rassicurante; trasparenza e legalità però purtroppo fanno tendenza molto più di moralità e buon senso. Da quando questa rivista è online mi è capitato di ricevere richieste di pubblicazione per concorsi e selezioni di tutti i tipi: dai premi senza il premio ai bandi che una volta vinti avrebbero portato gli artisti a dover pagare per andare in scena. A rimetterci sono soprattutto i giovani e gli outsiders (che in Italia sono più o meno la stessa cosa) e ogni volta c’è qualcuno che si fa bello sulla loro pelle. Ai giovani artisti e agli organizzatori rampanti e col pelo sullo stomaco dedico queste 10 riflessioni.

1)  Denaro e meritocrazia non vanno d’accordo. Sei chi organizza un festival di teatro (o di qualsiasi altra arte) ti chiede una somma in denaro che vada oltre le classiche spese di segreteria (e già venti euro mi sembrano abbastanza) vuol dire che non è poi così interessato a far emergere la qualità, gli basta che la manifestazione si faccia.

 

2)  I festival che contano non appaltano parte della programmazione con bandi che richiedono investimenti in denaro da parte dell’artista. Punta in alto

 

3)  Lo status di teatrante esordiente, indipendente, emergente, esuberante e performante non ti costringe a raschiare il fondo del barile. Abbi rispetto per la tua arte.

 

4)  Certo, hai bisogno di visibilità e di fare pratica, ma forse ci sono modi alternativi: unisciti ad altre compagnie e artisti. Condividete spazi, energie idee ed economie, occupate luoghi in disuso, tartassate critici e operatori; siamo abituati a vedere spettacoli in luoghi e date improbabili.

 

5)  Chi organizza un festival e chiede soldi alle compagnie semplicemente è uno con il fiuto per gli affari, poteva vendere materassi, ma si è accorto che il settore delle arti performative ha un bacino di utenza inesauribile e i materassi hanno una durata maggiore della fama effimera.

 

6)  Se l’organizzatore risponde: «Ma questo è un festival creato insieme e grazie alle compagnie che vi partecipano, senza di loro non sarebbe possibile». Puoi rispondere così «Ma va? Allora fa una cosa: dai comunicati elimina le frasi in cui ti attribuisci la paternità dell’idea e organizza una serie di riunioni con le compagnie. Poi sì che potrai vantarti di avere un evento organizzato dal basso grazie alla collaborazione degli artisti.» Per la cronaca, anche tenere in vita Ikea non sarebbe possibile senza milioni di coppie isteriche…

 

7) Anche se sei all’inizio di una fulgida carriera e devi investire, fallo per qualcosa che può servirti davvero: formazione (non solo artistica), promozione, comunicazione, organizzazione – hai tempo per  accumulare debiti.

 

8)  Per quanto tu possa essere emergente e per quanto il confine tra passione artistica e lavoro sia sempre nascosto tra metri cubi di nebbia, se è questo il lavoro che vuoi fare allora inizia a pensare che non puoi rimetterci tutte le volte e che ogni tanto dovresti anche guadagnarci.

 

9)  «Io pago perché così non penso a niente, non ho bisogno neanche di un ufficio stampa che mi segua, penserà a tutto l’organizzazione». Non è proprio così dato che, per quanto possano essere bravi gli organizzatori, il rischio “forno” non è mai scongiurato, l’impegno in comunicazione sarà ripartito per tutti i partecipanti al festival, dunque sei uno dei tanti.

 

10) «Sono fortunato in questo caso l’iscrizione è gratuita, mi hanno chiesto solo le spese Siae, vitto, alloggio, comunicazione e metà dell’incasso». Ok, rileggi tutto dal punto 1.

 

Andrea Pocosgnich
Twitter @andreapox

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Andrea Pocosgnich
Andrea Pocosgnichhttp://www.poxmediacult.com
Andrea Pocosgnich è laureato in Storia del Teatro presso l’Università Tor Vergata di Roma con una tesi su Tadeusz Kantor. Ha frequentato il master dell’Accademia Silvio D’Amico dedicato alla critica giornalistica. Nel 2009 fonda Teatro e Critica, punto di riferimento nazionale per l’informazione e la critica teatrale, di cui attualmente è il direttore e uno degli animatori. Come critico teatrale e redattore culturale ha collaborato anche con Quaderni del Teatro di Roma, Doppiozero, Metromorfosi, To be, Hystrio, Il Garantista. Da alcuni anni insieme agli altri componenti della redazione di Teatro e Critica organizza una serie di attività formative rivolte al pubblico del teatro: workshop di visione, incontri, lezioni all’interno di festival, scuole, accademie, università e stagioni teatrali.   È docente di storia del teatro, drammaturgia, educazione alla visione e critica presso accademie e scuole.

13 COMMENTS

    • Infatti Roma va ribaltata completamente. Nessuno dovrebbe accettare quelle condizioni infami. Piuttosto che i teatri di roma si svuotino!

  1. Voglio dire: anche fuor di bandi è un po’ io meglio che si può ottenere nella capitale. O il punto 10 non vale per roma. O su roma bisogna marciare solo dopo che puntando in alto altrove riesci ad arrivarci direttamente nel romaeuropa festival?

  2. il punto 10 è una cavolata:
    Si vede che chi scrive non conosce bene come sono le condizioni dei teatri e dei festival.

    spese viaggio, vitto sono solitamente a carico della compagnie ovunque a meno che non siano diversi i patti…

    Poi spesso si riesce a farsi trovare un alloggio, ma non sempre è compreso.
    (anche il vitto a volte si trova a poco prezzo o compreso, ma dipende dai patti).

    Sull’incasso dipende dal festival. I festival si basano principalmente sui finanziamenti che sono scarsi e gli organizzatori lottano con le istituzioni che ti fanno pressioni politiche per farli con due lire. Perciò il fatto della metà dell’incasso potrebbe essere plausibile.
    Poi se veramente si parla di festival, il 40% nun paga! Perciò che te frega dell’incasso?
    L’ideale sarebbe un cachet minimo… ma sappiamo in che periodo storico viviamo?

    Sulla Siae poi io faccio una mia battaglia personale e arrivati a questo momento storico credo proprio che non sia più una necessità ma un privilegio, soprattutto se si parla di autori interni alla compagnia.
    Faccio un esempio, il 70/30 solitamente è al netto Siae, l’autore prende il 70% del ricavato della Siae, perché l’operatore dovrebbe pagare il 30% alla Siae che va ad ingrassare una società a delinquere (anche se partecipata)?
    (il tutto va correlato dalla legge promulgata a novembre 2013 che la Siae non prende in considerazione, per la quale gli autori potrebbero rinunciare ai propri diritti Siae, cosa che sarebbe auspicabile in un rapporto a percentuale, in festival e teatri che non possono coprire il minimo)

    • caro Dario io le condizioni dei teatri e dei festival le conosco bene, forse è chi legge che non vuole, come al solito, andare oltre la superficie… è chiaro che il punto 10 è un paradosso, una voluta forzatura. D’altronde mi pare evidente che questo non sia un articolo giornalistico, ma un pezzo con un formato ben preciso e che volutamente taglia il discorso un po’ con l’accetta per puntare i riflettori su un malcostume generale

      ciao

      a.

  3. sulle spese di segreteria… anche io pensavo che 20 euro fossero un minimo possibile, ma se per spese si intende anche una segretaria che si dedica a quello e non ad altro (perciò come una persona in più), almeno 35/50 euro sono più che giuste

  4. Parole sante parole sante. Sono troppi i bandi in cui viene chiesto l’obolo di partecipazione. Molte le volte in cui l’obolo equivale a un’ipoteca. ora, parliamone.. 20 seuro vabene, ma ho letto più volte di richiesta di 500 euri per iscrizione e ZERO dico ZERO incasso/cachet. Chi scrive questi bandi non ha niente di diverso da chi va a rubare in un orfanotrofio.
    Si emerge in altri modi amici giovani e outsider. Assolutamente in altro modo. Non accettate, accettare oggi vi condannerà a una vita di arte svalutata.

  5. Sono d’accordo. Bisogna cercare nuove strade, molto più interessanti che tengano conto principalmente del pubblico. Sembrerebbe ovvio ma non è così. Creiamo comunità per condividere il nostro lavoro. Saranno le persone di queste comunità che cercheranno contatti con le altre comunità simili e scambiaranno virtuosamente le esperienze artistiche, facendo viaggiare le opere e gli artisti.

  6. Ma è proprio necessario marciarci su Roma? Se quelle sono le condizioni e pensando ai molti (seppur sempre meno, sigh!) che si sbattono per pagare i cachet delle compagnie in paesetti dove un cachet può diventare una voce di bilancio rilevante, forse una domanda sul senso di andare a Roma solo perché è Roma si dovrebbe farsela.

  7. Notevole articolo, grazie! Ma secondo lei bisogna inserire in questo discorso anche l’ambito premio riccione che chiede 50 euro per partecipare?gli autori ritenuti “importanti “secondo lei la pagano la quota o mandano per email il copione senza pagare fotocopie e spedizione?

  8. alla luce del punto 10), cosa ne pensa l’autore dell’articolo sul bando de LiNUTILE, dove 3 compagnie su 4 non incassano nulla di nulla (neanche l’1%) e si pagano pure il viaggio (ma non si pagano la SIAE e l’alloggio)?

  9. Per riferirsi al punto 1 del tuo vademecum, hanno imparato anche realtà più “grandi”… al punto 7 del bando del Premio Pergola (direzione Gabriele Lavia, presidente di giuria Franco Cordelli) si trova quanto segue:

    Art. 7 – Quota di Iscrizione
    La partecipazione al concorso prevede il versamento di una quota di iscrizione pari a € 30,00 (trenta/00) a parziale copertura delle spese di segreteria. La quota di iscrizione dovrà essere versata su c/c bancario IBAN: IT21 N061 6002 8001 0000 0012 378 intestato alla Fondazione Teatro della Pergola con indicazione nella causale di : Premio Pergola / titolo dell’opera

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