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Riccardo de Torrebruna Nella cattedrale di Carver

Recensione di Nella cattedrale tratto da Raymond Carver

 

carver
Foto Ufficio Stampa

C’era questo cieco. Inizia così uno dei racconti più intensi del grande narratore americano Raymond Carver, vissuto in uno spazio troppo breve lungo il cuore del Novecento ma che ad esso, alla storia letteraria di questo secolo, ha regalato pagine eccelse in formati brevi – per lo più racconti – non perché inadatto alla misura lunga bensì per la convinzione che nel racconto si possano condensare un sentimento e una forma, ciò che in un romanzo è confuso agli umori della scrittura e ad evoluzioni che coinvolgono i personaggi oltre le reali intenzioni dell’opera. La risorsa del romanzesco è dunque, per Carver, la misura esatta del fallimento che sempre, il romanzo, porta in sé. Ciò che resta in lettori delle sue opere è l’idea che credere nel racconto fosse molto simile a ciò che ebbe a dire anche Antonio Tabucchi, altro grande scrittore di “piccola taglia”, per cui rispetto al romanzo il racconto era un po’ come scegliersi le stanze di una casa che sarebbe stata grande, dispersiva, che non avremmo mai lo stesso identico desiderio di abitare.

Cattedrale, è il racconto contenuto in una raccolta che ha omonimo titolo. C’era e c’è questo cieco, Robert, invitato da una vecchia amica più giovane di lui che un tempo gli era di sostegno e con cui poi ha mantenuto un rapporto epistolare di registrazioni a nastro, lungo i tanti anni successivi. Scambiarsi registrazioni, imprimere la voce per l’ascolto altrui, ha per loro conservato qualcosa di intimo che insospettisce Wes, il nuovo compagno di lei, guardingo nei confronti dell’ospite ancor prima del suo arrivo. Quando Robert entrerà dalla porta, sostenuto dalla moglie che cerca di sciogliere la tensione innescata dal marito, inizierà un sottile e silente gioco di ruolo tra i due, che li porterà a incrociare però le loro intenzioni in un territorio inatteso, la cui magia li coinvolge al punto di scoprirli – il cieco e il vedente – prossimi l’uno all’altro.

carver
Foto Ufficio Stampa

L’idea di farne teatro è di Riccardo de Torrebruna, scrittore attore e laureato in filosofia, che ne porta in scena una versione aderente dal punto di vista soprattutto ambientale, disegnando uno spazio casalingo pronto all’accoglienza dell’ospite giunto da lontano. Nella cattedrale si articola nel salotto di una casa americana, con vie di fuga che portano alle altre stanze, tavola apparecchiata, angolo degli alcolici; in tutto un’immagine abbastanza aderente all’atmosfera che si avverte nella scrittura di Carver, qualcosa di accartocciato e dolorante, come una spina lasciata in una mano a cui non si fa più caso ormai, qualcosa che il teatro conosce per suggestione nelle atmosfere sospese, di fumo e silenzio, create da David Mamet.
L’evolversi della vicenda segue allora una linearità in cui riconosciamo fin da subito i caratteri di svelamento, quando cioè Wes (lo stesso de Torrebruna) e Robert (Emilio Dino Conti), lasciati soli dalla moglie del primo (Valentina Chico), incroceranno i loro pensieri in un punto di contatto, dove sapranno sorprendentemente riconoscersi. Il loro dialogo non eccede nei toni (salvo forse per il personaggio più “sopra le righe”, Robert) e non fa parodia di un testo che poteva suggerire mera imitazione, le stesse registrazioni su nastro, quindi dialoghi in forma monologo, anticipano un nodo che proprio il meccanismo teatrale, dialogico, saprà dal vivo sciogliere; il merito è di una regia compatta, senza scosse ma sicura di avere una materia sufficiente a sé stessa, perché il solo incedere della storia manifesti una trasformazione e inneschi, dalla mostra del concreto disagio fino alla consonanza, quella sottile ma ferrea crinatura umana nell’asfissia disumana tracciata da Carver.

La “cattedrale” del titolo, segnata da un accordo visionario tra la mano e l’idea, sarà il loro simbolo: luogo sacralizzato dagli uomini di spirito e costruito dall’azione concreta di altri uomini, quindi già intimamente ambito d’incontro e coesistenza. La linea tra sguardo e visione, tra ciò che è mostrato e ciò che si avverte nel nascondimento, è subito in quel tinello americano una lotta alla grigia solitudine che paradossalmente soltanto la moglie, ossia colei che di mezzo tra i due è motore dell’incontro, non comprende e lascia indietro, andandosene a dormire. Ma non stupisce più di tanto: lei non ha motivi di evolversi, è un personaggio piatto senza morbosità e quindi priva di curiosità ulteriori, andrà a dormire e lascerà i due su un divano a cercare nei sotterranei dell’esistenza vissuta un terreno di battaglia che li sfinisca e, dunque, li induca a nascere di nuovo.

Simone Nebbia
Twitter @Simone_Nebbia

Visto in aprile 2014 al Teatro Spazio Uno di Roma

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NELLA CATTEDRALE
(un omaggio a Raymond Carver e Tess Gallagher)
di Riccardo de Torrebruna, da “Cattedrale” di Raymond Carver
regia Riccardo de Torrebruna
assistente alla regia Chiara Frigo
con Emilio Dino Conti, Valentina Chico, Riccardo de Torrebruna
Elaborazione Musiche Flavio Vezzosi

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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

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