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A slow air. Con Rappa vibra la Scozia di Harrower

Recensione di A slow air andato in scena al Teatro Argot di Roma

 

a slow air
foto Narramondo.it

Molte volte è con la semplicità che si misura la maturità di un regista, nella capacità di affrontare un testo senza rete, sprovvisto di qualsiasi misura di sicurezza intellettuale ed estetica, e quando tutto funziona alla perfezione lo spettatore ha la fortuna di ritrovarsi di fronte a una macchina umana che parrebbe in grado di non fermarsi mai. Quanti articoli abbiamo speso su queste pagine per analizzare modelli recitativi incapaci di guadagnarsi la credibilità di cui avrebbero bisogno di fronte al pubblico. Per chi sceglie il teatro di parola, è tutto qui (soprattutto ora in tempi di povertà del linguaggio verbale): recitazione, corpo, azione. Eppure in una città come Roma che tende ad appiattire il livello delle proposte in un orizzonte indistinguibile di canoni estetici sviliti talvolta da approssimazione, impreparazione e fragile cultura teatrale, tale assunto è una chimera. Incontrare allora il lavoro di Giampiero Rappa al Teatro Argot, proprio mentre la sua attenzione è centrata su questa ricerca di semplicità è, credetemi, un piacere.

A slow air di David Harrower, quello di Blackbird per intenderci, (qui prodotto da Narramondo e Gloriababbi Teatro) è un testo apparentemente semplicissimo, giocato su tre personaggi: fratello e sorella, entrambi di mezza età – allontanati dalla vita e dal carattere irrequieto di lei – e un ragazzo, poco più che ventenne, inizialmente scapestrato e perdigiorno ai nostri occhi, che poi invece si ammanta di estro e maturità diventando addirittura decisivo per la vita dello zio e della madre. La sfida per Rappa (e qui emerge la sensibilità maturata nella sua esperienza come autore) è quella di far vivere questa storia ambientata nella desolata provincia scozzese rispettando il testo nella forma del doppio monologo e perimetrando l’azione degli attori in due quadrati dai quali non possono uscire, scontando anche così la lontananza di cui i due fratelli debbono nutrirsi. Scena vuota, anche dal punto di vista degli interventi musicali, ma riempita come raramente accade dalla potenza di una coppia di attori in stato di grazia: Nicola Pannelli e Raffaella Tagliabue stabiliscono un corpo a corpo con il testo tratteggiando i due personaggi con precisione e delicatezza trasmettendo tutta l’alterità dei caratteri scozzesi senza il bisogno di stereotiparli o di cadere in eccessi cinematografici; e ce li abbiamo lì a un passo da noi, in carne ed ossa, alle prese con mille emozioni, ma appunto credibili.

Il testo di Harrower è un orologio di precisione, ma anche una gabbia, se parlassimo di cinema diremmo che si tratta di una “sceneggiatura di ferro”: il regista non può tagliare o spostare ché la partitura diventerebbe qualcos’altro mettendo a rischio il senso dell’operazione. Questo invece deve emergere dalla doppia confessione in cui i due personaggi, un po’ come accade nella vita, non seguono un percorso lineare nel racconto, ma si soffermano su certi momenti della propria vita, espandendone la temporalità, oppure lasciando enormi vuoti lì dove invece lo spettatore avrebbe voluto sapere di più. Insomma vi è un continuo coinvolgimento dell’attenzione del pubblico, il quale fino all’ultimo è tradito e sorpreso anche nel più banale ed immediato degli approcci: dov’è il baricentro narrativo del racconto? Gravita a mezz’aria, come una nebbia densa, la storia di un attentato terroristico, gli autori del gesto vivevano nello stesso quartiere di uno dei due fratelli. Ma non è questo il punto, come d’altronde non lo è neanche l’incontro tra i due fratelli, avvenuto dopo decenni in un vecchio pub della provincia scozzese, dove a suon di pinte i due cercano di lavar via la ruggine incancrenita dal tempo probabilmente senza riuscirci del tutto.

Giampiero Rappa con un regia minimale e tutta centrata sul lavoro degli attori fa risuonare ogni corda dell’ampio registro emotivo creando così – grazie alla complicità della traduzione agile di Gianmaria Cervo e Francesco Salerno – uno spettacolo prezioso (andato in scena a Trend 2012 e a Genova) che meriterebbe un maggiore riscontro di quello che il sistema teatrale attualmente gli sta dedicando.

Andrea Pocosgnich
Twitter @andreapox
guarda il video su e-performance.tv

In scena fino al 23 febbraio 2014
Teatro Argot [cartellone 2013/2014] Roma

Prossime date:
27 febbraio 2014 TORINO – Spazio CAP10100

A SLOW AIR
testo di David Harrower
Traduzione Gian Maria Cervo e Francesco Salerno
Con Nicola Pannelli e Raffaella Tagliabue
Regia Giampiero Rappa
Una Coproduzione Narramondo Teatro e Gloriababbi Teatro

Debutto nella Rassegna teatrale a cura di Rodolfo di Giammarco
“TREND Nuove frontiere della scena britannica – XI edizione”

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Andrea Pocosgnich
Andrea Pocosgnichhttp://www.poxmediacult.com
Andrea Pocosgnich è laureato in Storia del Teatro presso l’Università Tor Vergata di Roma con una tesi su Tadeusz Kantor. Ha frequentato il master dell’Accademia Silvio D’Amico dedicato alla critica giornalistica. Nel 2009 fonda Teatro e Critica, punto di riferimento nazionale per l’informazione e la critica teatrale, di cui attualmente è il direttore e uno degli animatori. Come critico teatrale e redattore culturale ha collaborato anche con Quaderni del Teatro di Roma, Doppiozero, Metromorfosi, To be, Hystrio, Il Garantista. Da alcuni anni insieme agli altri componenti della redazione di Teatro e Critica organizza una serie di attività formative rivolte al pubblico del teatro: workshop di visione, incontri, lezioni all’interno di festival, scuole, accademie, università e stagioni teatrali.   È docente di storia del teatro, drammaturgia, educazione alla visione e critica presso accademie e scuole.

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