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Branciaroli e Bernhard. Teatrante di teatranti

Recensione di Il teatrante di Franco Branciaroli

 

Foto di Umberto Favretto
Foto di Umberto Favretto

Il teatrante. A immaginarla pronunciata, questa parola piana con quella “a” aperta, rassicurante, occorre alla mia memoria non tanto il soggetto indicante, colui che fa del teatro la sua vita, il suo mestiere; quanto il suono di chi con sdegno l’utilizza in accezione negativa: “il teatrante”, sottintendendo un non detto pieno dell’inutilità, dell’effimera superficialità, dei voli pindarici fatti di fumo, pensieri tutti appartenenti a chi non fa di quest’arte propria ragione di vita, né è interessato a curarsene. Si delineerebbe il ritratto di uno stolto, di un’impostore, magari anche affabulatore di parole, di gesta, eppure sostanzialmente un cialtrone. Forse è con spirito simile che Thomas Bernhard, cinico e pungente drammaturgo austriaco, scriveva nel 1985 il dramma omonimo, in questi giorni in scena al Teatro Quirino con Franco Branciaroli nella doppia veste di regista e primo interprete.

Sulla scena un’osteria in pieno stile nordeuropeo, quasi fuori tempo: carta da parati ingiallita sui cui si stagliano trofei dalla testa di cervo, targhe, quadretti (tra i quali spicca un po’ affumicato un inquietante ritratto di Hitler), perfino dei maiali appesi sul poco utilizzato piano superiore. Qui vedremo l’ingresso di Bruscon, capocomico vecchia maniera con tanto di famiglia-compagnia al seguito, intento a sondare il misero palco dove portare il dramma di cui è autore, attore e regista. Da lui ne sentiremo parlare a lungo durante le due ore di spettacolo: “La ruota della storia” è sintesi immane, densissima, «quasi universale» (?), talmente densa da apparire immobile, inafferrabile nei suoi richiami; l’aspetto metateatrale diventa in questo caso un continuo guardarsi l’ombelico, pratica purtroppo comune in tanto teatro, che qui Bernhard condanna senza riserve. Ma è una condanna che nasce dall’insopportabilità scaturita dal personaggio, che con tono stentoreo, nasale, fintamente bonario, investe chiunque in un quasi mai interrotto monologo, la scusa sempre pronta a manifestare la propria frustrazione. Lui, «l’attore accademico» contrapposto all’incompetenza altrui, all’ottusità dei figli, dei pompieri, alla presunta ipocondria della moglie: nessuno dei personaggi (tutti resi come poco più che caratteristi, alcuni tirati al limite del macchiettismo) è capace di riconoscere e apprezzare davvero il suo genio.

Foto di Umberto Favretto
Foto di Umberto Favretto

Tutto ciò che è teatro è menzogna, magari anche a volte affascinante, ma menzogna. Bernhard ci consegna una riflessione affilata e crudele, non sono pochi i momenti in cui fa dichiarare al suo protagonista che «se fossimo onesti non faremmo teatro», ma in bocca a lui queste affermazioni assumono un carattere ambiguo e grottesco. Ai nostri occhi, in effetti, appare proprio Bruscon vittima della sua stessa invettiva, quel teatro morto di cui parla, quella cialtroneria inconcludente, è quella da lui stesso incarnata; ciò contro cui nessuno prova a liberarsi, né l’oste, né i figli, né la moglie (che risponderà esclusivamente a suon di colpi di tosse). È una trappola asfittica e mortale quella in cui sono portati i personaggi, e vien da pensare, anche gli attori. Branciaroli si presta bene al ruolo “dell’Accademico” dall’incredibile sproloquio, tuttavia, alla lunga, questa voluta superficialità di registro appare un po’ facile, tutti i clichè da programma rischiano di essere in scena gli unici padroni. Dove rimane la vita, rincantucciata in un racconto? Tutto passa attraverso il filtro della parola, declamazione che non porta mai con sé un’azione. Cadrà dell’acqua in scena, vorrà farsi specchio di verità – incombente e presuntuosa che si fa spazio tra le maglie della finzione – eppure non basta. Non basta ai personaggi, che imperterriti continuano a prepararsi per lo spettacolo imminente; non basta agli attori, che poco fanno caso a questo miracolo di realtà.

Cosa emerge da uno spettacolo del genere? Di cosa ride – rumorosamente – il pubblico della prima? Sì, potrebbe trattarsi di comicità dianoetica, cui al riso sottenderemmo una smorfia di disgusto, un rabbrividio; eppure sembra non farci caso nessuno, cadendo nella trappola di Bernhard.
Dello spettacolo proposto dalla compagnia di Bruscon, “La ruota della storia”, rimarrà l’apertura e la chiusura del sipario, ma a noi cosa rimane, solo parole di fumo? Forse no. Forse il tremito quasi rabbioso dovrebbe spingerci tutti a riportare il teatro a qualcosa che non sia solo una scatola vuota, uno spostamento insignificante o un’azione di autoerotismo mentale fine a sé stessa e a nessun altro. Facciamo in modo che del teatrante rimanga il mestiere, la passione e non la cialtroneria.

Viviana Raciti
Twitter @viviana_raciti

In scena al Teatro Quirino di Roma dal 11 al 23 Febbraio 2014

IL TEATRANTE
di Thomas Bernhard
traduzione Umberto Gandini
con (in ordine alfabetico) Barbara Abbondanza, Franco Branciaroli, Tommaso Cardarelli Melania Giglio, Daniele Griggio, Valentina Mandruzzato, Valentina Violo
scene e costumi Margherita Palli
luci Gigi Saccomandi
foto di Umberto Favretto
regia Franco Branciaroli
produzione CTB Teatro Stabile di Brescia
Teatro de Gli Incamminati

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Viviana Raciti
Viviana Raciti
Viviana Raciti è studiosa e critica di arti performative. Dopo la laurea magistrale in Sapienza, consegue il Ph.D presso l'Università di Roma Tor Vergata sull'archivio di Franco Scaldati, ora da lei ordinato presso la Fondazione G. Cinismo di Venezia. Fa parte del comitato scientifico nuovoteatromadeinitaly.com ed è tra i curatori del Laterale Film Festival. Ha pubblicato saggi per Alma DL, Mimesi, Solfanelli, Titivillus, è cocuratrice per Masilio assieme a V. Valentini delle opere per il teatro di Scaldati. Dal 2012 è membro della rivista Teatro e Critica, scrivendo di danza e teatro, curando inoltre laboratori di visione in collaborazione con Festival e università. Dal 2021 è docente di Discipline Audiovisive presso la scuola secondaria di II grado.

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