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HomeVISIONIRecensioniToni Servillo e Napoli. L’estremo tra orrore e meraviglia

Toni Servillo e Napoli. L’estremo tra orrore e meraviglia

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foto di Massimo Achilli
foto di Massimo Achilli

Un’escursione dal Paradiso fino all’Inferno per tornare sulla terra, a una realtà forse irripetibile nella storia, è stato questo il viaggio di Servillo legge Napoli per la rassegna Le Vie dei Festival. Toni Servillo ha presentato una selezione di letture tratte da autori e “uomini di scena” partenopei sul palcoscenico di un Teatro Vascello pieno al punto da costringere gli organizzatori e i responsabili ad aggiungere sedie e far accomodare alcuni spettatori sulle gradinate per ottemperare alle richieste dei molti addirittura in lista d’attesa.

L’attore appare sulla scena e si accosta al leggio in jeans e maniche di camicia, accolto da un applauso che ricorda l’abitudine antica, ed estranea ormai alla prassi di fruizione, con cui un tempo il pubblico salutava il suo grande protagonista all’ingresso. Sono le parole di Salvatore di Giacomo in Lassamme fa’ Dio ad iniziare questo excursus che di Napoli racconta la fantasia e le opposizioni, l’eccezionalità e l’amarezza. Seguono pezzi di Eduardo De Filippo (Vincenzo De Pretore prima e Nfunno successivamente), Ferdinando Russo (A Madonna d’è’ mandarine e E’ sfugliatelle), di Raffaele Viviani (Fravecature e Primitivamente) – dallo stesso Servillo definito «forse il più grande poeta napoletano per altezza di temi e povertà di mezzi» –, due tirate straordinarie di Mimmo Borrelli (A sciaveca e Napule) e ancora Enzo Moscato (Litoranea), Giuseppe Montesano (Sogno Napoletano), Maurizio De Giovanni (O’ vecchio sott’o ponte), Michele Sovente (Cose sta lengua sperduta), la conosciutissima e quasi immancabile A’ livella di Totò in chiusura con A’ casciaforte di Antonio Mangione, unico pezzo cantato peraltro con una certa grazia sorniona. Quello che si presenta a noi è il percorso dentro una concezione della vita che ondeggia costantemente tra leggerezza e costernazione , è un’immagine fedele o meglio ancora è una visione che diventa mondo tangibile nell’attraversamento che di esso fanno le parole. I luoghi si fanno spazio nel pensiero, nella percezione non solo quando sono palesemente nominati, ma soprattutto nel momento in cui passando per i versi riescono come in un sortilegio a trasformarsi in dimensione che traspone la platea intera nelle viscere del suo cosmo immaginario.

foto di Massimo Achilli
foto di Massimo Achilli

L’interpretazione è senza troppi giri di parole efficacissima, sfugge – a differenza di quanto avvenuto nella rappresentazione de Le vocidi dentro di Eduardo, lo scorso maggio all’Argentina – allo stilema compiaciuto di una recitazione gongolante, autoreferenziale. Servillo rasenta qui la perfezione nella restituzione dei registri, tutti opportuni, che vedono citati in modo assolutamente padroneggiato le increspature e infine i modi appartenenti in maniera esclusiva e prodigiosa alle parole: dalla frenesia del verbo che si rincorre senza respiro all’incalzare melodico dell’inflessione, dalla frustrazione armonica dei toni alla brillantezza creativa dei termini e dei quadri che disegnano, ogni cosa si ripercuote nella lettura. Essa trascina per i vicoli fra il degrado e la sua attrazione lasciva, risale le vie celesti dell’acqua di mare per portare all’udito i silenzi dei poveracci, le strilla da “vaiassa”, le vette che solo i reclami degli acquaioli di un tempo che fu hanno conosciuto. Nella voce affonda la restituzione della musicalità straordinaria di una lingua poetica come pochissime altre, umanissima e fisica la cui espressività non può non riflettersi sul volto, nella mimica del corpo. La scelta dei frammenti proposti è armonica e funzionale all’intenzione, segue un percorso compitato con maestria di scena e di materia che rende merito alle doti migliori di Servillo e al panorama di composizione cui fa riferimento in questo caso.

Insomma siamo partiti da Campi Elisi, abbiamo camminato lungo le arterie disparate dell’esistenza per scavare e scendere nei territori tartarici. Perché in fondo Napoli è questo, un incanto lurido, una meraviglia decadente, la malinconia senza tempo della lontananza e con i segni epocali delle sue ferite. È uno splendore arrangiato, arrabattato tra altezza e bassezza, estrema bellezza e orrore, probabilmente è questa la ragione che ne fa un teatro di verità unico al mondo: la vita con tutti i suoi colori che ti esplode fra le dita, per la strada, mentre tenti di distinguerne le sfaccettature e realizzi di non poter far altro che arrenderti all’estasi delle sue contraddizioni.

Marianna Masselli

 

Visto al Teatro Vascello, in ottobre 2013

TONI SERVILLO LEGGE NAPOLI
con Toni Servillo
produzione Teatri Uniti

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Marianna Masselli
Marianna Masselli
Marianna Masselli, cresciuta in Puglia, terminato dopo anni lo studio del pianoforte e conseguita la maturità classica, si trasferisce a Roma per coltivare l’interesse e gli studi teatrali. Qui ha modo di frequentare diversi seminari e partecipare a progetti collaterali all’avanzamento del percorso accademico. Consegue la laurea magistrale con una tesi sullo spettacolo Ci ragiono e canto (di Dario Fo e Nuovo Canzoniere Italiano) e sul teatro politico degli anni '60 e ’70. Dal luglio del 2012 scrive e collabora in qualità di redattrice con la testata di informazione e approfondimento «Teatro e Critica». Negli ultimi anni ha avuto modo di prendere parte e confrontarsi con ulteriori esperienze o realtà redazionali (v. «Quaderni del Teatro di Roma», «La tempesta», foglio quotidiano della Biennale Teatro 2013).

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