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Il grande viaggio alla ricerca del bambino interiore

Teatropersona
Foto di Alessandro Serra

Non è necessario lo studio glottologico per stabilire quale legame di filiazione unisca il termine “immagine” a “immaginazione”. Entrambe le parole sono irrimediabilmente connesse alla scena come elementi primari di una performance, come componenti in grado di trasformare il tempo dell’evento nel baleno della suggestione. Parametrare con esattezza l’intensità di un simile bagliore, stabilire con precisione il suo gradiente sottraendolo alla mercé della sensibilità soggettiva sarebbe impossibile anche per chi dell’osservazione abbia deciso di fare mestiere. Se poi la direzione in cui ci si osserva è quella che si perde negli occhi di un bambino, ogni demarcazione netta diviene più labile. Perché lo sguardo infantile quasi sempre è sinonimo di scarsa malizia, ma corrisponde anche a una ricerca di credibilità diretta e, in quanto tale, spesso si rivela meno clemente con la gratuità della mistificazione: offre la sua fiducia all’incanto e in virtù di questo non accetta tradimenti che non siano inganni meravigliosi necessari a una storia, a un’illusione indispensabile o – ancor meglio – volontaria. Persino i trucchi alchemici più sofisticati impiegano la maestria di forze e meccanismi, applicano principi specifici per produrre effetti altrimenti impossibili da ottenere.

Tutto questo si potrebbe presupporre a Il grande viaggio, pièce presentata dalla compagnia TeatropersonaInequilibrio 2013 all’interno della rassegna di “spettacoli per ragazzi”. La storia è quella di un forestiero che arriva in cerca di maggior fortuna nella Grande Città – universo generico di spaesamento e lontananza dall’origine che genera nostalgia – e, dopo aver ottenuto un visto di sei mesi, si ritrova quasi per caso e fuori da ogni aspettativa a divenire paladino di liberazione. Sarà lui infatti a ricevere il compito metaforico di sollevare la città dall’incombere dell’Ombra, la persecutrice di ogni “daimon” ovvero «la tua anima in forma di animale, un animale magico, come un angelo custode». Egli riuscirà a vincere le tenebre, ad annientare l’oscuramento dello spirito finendo per ricongiungersi con la parte buona e vitale dell’essere: un cammino universale e perpetuo che segna il superamento della cecità emotiva passando tra le difficoltà, l’inquietudine e la convivenza con la malinconia e forgiando armi capaci di contrastare la paura.

L’intera costruzione è imperniata sul montaggio delle situazioni riconducibili alla linea del racconto, sostanzialmente connessa a una matrice poetica che trova profondità nella profusione ponderata dei momenti. In essi risulta evidente come il lirismo si demandi maggiormente alla composizione della visione, orientamento predominante nell’allestimento nonché prediletto fattore di conduzione. Particolarmente incisa risulta la figura della talpa che fa da alter ego al nostro viaggiatore, la cui entità – nella gestione delle movenze e nell’articolazione fonatoria che non è mai verbale – facilmente richiama alla mente le caratteristiche di uno Zanni. Più di altre forse si imprime alla percezione dello spettatore la sequenza in cui questa sorta di animaletto allegorico risorge e torna a vita sotto una forza di trazioni invisibili eppure così precise da sembrare disegnate: diviene quasi la marionetta magica di un Bunraku occidentale che ha per fili le nostre iridi, ipnotizzate da un sortilegio di presenza scenica. L’orditura delle luci è sapientissima e così l’uso delle melodie che accompagnano l’azione e conferiscono densità d’atmosfera, palpabile e lieve allo stesso tempo. La messinscena si traduce in una continua e libera stimolazione di fantasia, che tuttavia rifiuta l’anarchia di un immaginario generico per essere invece incanalata, plasmata in una cifra specifica che fa della rarefazione favolistica il tramite di traslazione di un messaggio.

Uscendo, resta solo da chiedersi se il tocco leggero di questa esperienza fatata sia affondato anche nel sorriso dei più piccoli, con la stessa efficacia con cui è riuscito a stimolare l’innocenza del pubblico adulto, alla ricerca del proprio bambino interiore.

Marianna Masselli

Visto in luglio a Inequilibrio Festival 2013

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IL GRANDE VIAGGIO
con Massimiliano Donato, Simona Di Maio, Andrea Castellano, Francesco Rizzo
testo, regia, scene, luci, suoni Alessandro Serra
realizzazione oggetti di scena Tiziano Fario
prodotto da Teatropersona
e in coproduzione con Armunia/Festival Inequilibrio
con il sostegno di Teatro Comunale di Casalmaggiore | CA. RI. CIV.

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Marianna Masselli
Marianna Masselli
Marianna Masselli, cresciuta in Puglia, terminato dopo anni lo studio del pianoforte e conseguita la maturità classica, si trasferisce a Roma per coltivare l’interesse e gli studi teatrali. Qui ha modo di frequentare diversi seminari e partecipare a progetti collaterali all’avanzamento del percorso accademico. Consegue la laurea magistrale con una tesi sullo spettacolo Ci ragiono e canto (di Dario Fo e Nuovo Canzoniere Italiano) e sul teatro politico degli anni '60 e ’70. Dal luglio del 2012 scrive e collabora in qualità di redattrice con la testata di informazione e approfondimento «Teatro e Critica». Negli ultimi anni ha avuto modo di prendere parte e confrontarsi con ulteriori esperienze o realtà redazionali (v. «Quaderni del Teatro di Roma», «La tempesta», foglio quotidiano della Biennale Teatro 2013).

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