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Focus Sicilia – “Salvatore”, spettacolo fuori dall’ordinario

foto Officina Fotografica

Con quale indescrivibile piacere scriviamo di Silvio Laviano autore e attore di Salvatore, favola triste per voce sola, diretto da Tommaso Tuzzoli, in scena a Catania dal 14 al 15 Dicembre.
Oramai ci eravamo disabituati alla pratica di scovare nel catanese fermenti di novità, un coraggio nelle idee e nel linguaggio, che non sia invece un grigio, obsoleto, anche piuttosto deludente genere teatrale che quando non è commedia pretende di essere teatro di qualità, e non lo è affatto. Eccezion fatta, si capisce, per la realtà della danza, in questi anni molto poco è fiorito a Catania di veramente interessante. Causa forse di una tradizione legata alla commedia che lascia un’eredità pesante? Non si sa, molte sono le ipotesi, l’unica certezza è che nel capoluogo etneo non riesce ad affiorare un teatro di ricerca, di sperimentazione, insomma teatro contemporaneo. Ma per sfuggire alla facile critica dell’utilizzo di etichette, potremmo parlare semplicemente di un Teatro nuovo e palpitante, fresco, autonomo nelle scelte e nei linguaggi, una ricerca che riesca a varcare i confini di un certo provincialismo in cui sembrano relegate la maggior parte delle compagnie etnee. In questo grigiore generalizzato assume l’aspetto di un miracolo l’esperimento di Silvio Laviano, forse perché per un attimo si ha la sensazione che venga scardinato quel quadro descritto e si possa dire e gridare anche a Catania si partorisce, tra i fumi del vulcano e le pietre indurite di lava, un fuoco, una passione, un’idea, una spinta leggera verso una strada non ancora battuta.

Quello proposto al pubblico non numeroso della sala Lomax, è uno spettacolo ardito, ma senza eccessi e senza spropositi, si potrebbe definire quasi uno spettacolo sommessamente fuori dall’ordinario. Perché la storia che narra di straordinario ha solo il modo pulsante in cui viene raccontata. Una storia normale, ma necessaria, sovrabbondante si, eppure sobria e proporzionata nella sua carica di verità, verità emotiva, verità istintiva, verità dell’anima e del corpo. Dalla nascita prematura fino ai trenta anni, in quattro quadri si racconta di Salvatore, in una Catania greca, nera, allegramente rumorosa, spavalda e scanzonata, che ama la vita ed il piacere, l’adolescente prende consapevolezza di sé e del mondo, ansioso di diventare adulto, pretende di entrare nella vita, di sfidarla e di capirla.
Di memoria brancatiana l’uso di un umorismo, che è più un’esaltazione apparente di uno stile di vita di cui, in realtà, si mettono in evidenza i limiti. Così i tratti dei tanti personaggi, ora teneri, ora grotteschi, tutti irresistibili, hanno pennellate di ironia e gustosa comicità.
La regia esalta l’esponenziale espressività corporea dell’attore, un corpo fluido, furioso, carnale, generoso, dall’istinto vergine verso la vita. Un corpo incendiato, che incendia la vita e il pubblico, un corpo che partorisce parole, parole espiantate dal corpo, forse perché nate dallo stesso respiro, respiro che si fa pensiero, che ridiventa movimento. E allora non resta che nutrire una speranza, che Salvatore non resti una voce sola, non per sempre almeno.

Filippa Ilardo

in scena
14, 15, 16 Dicembre SALA LOMAX – CATANIA

TINAOS / M.P. produzioni
SALVATORE – favola triste per voce sola
di e con Silvio Laviano
Trainer Sabrina Jorio
Suono Federico Dal Pozzo
Foto / progetto grafico Officina Fotografica video Teresa Terranova
Regia Tommaso Tuzzoli

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2 COMMENTS

  1. So che non è quello che si evince dall’articolo il pensiero della redattrice della recensione, ciò non toglie che mi pare giusto precisare che a Catania c’è, è viva e lavora una realtà, intendendo per una non una di numero, ma un panorama appunto, una realtà che fa contemporaneo, si occupa di contemporaneo, riflette sul contemporaneo, come ben sanno le molte compagnie di ricerca che sono venute a Catania quando Salvatore Zinna, anche con la mia collaborazione, ha diretto per due stagioni il Festival Cultania. Realtà come Statale 114, la mia, come Retablo, senza dimenticare le compagnie storiche come quella del Piccolo Teatro o il gruppo Iarba, lavorano intensamente sulla ricerca, producendo non solo pensieri ma anche tanto materiale e alla fine spettacoli. Non più tardi dello scorso anno, alla presentazione di Face a’ face, l’addetta culturale dell’Ambasciata di Francia poneva l’accento sul lavoro che un laboratorio, TradurrePerlaScena, faceva in città ponendolo fra le migliori scuole di traduzione e di messa in scena per i testi dei nuovi drammaturghi catanesi.
    Credo che a Filippa sia scappata la penna e che non volesse fare di tutta l’erba un fascio, così come io non voglio difendere me o Salvatore Zinna, o Savì Manna, o Carmelo Vassallo o Zo, centro culture contemporanee: questa precisazione sta per dire che noi ci siamo, siamo vivi e vegeti e produciamo. E so che Filippa è d’accordo con me.

  2. Fotografando una realtà con il grandangolo si corre il rischio di trascurare qualche particolare, manca una profondità e quindi una correttezza della descrizione. quella mia è una generalizzazione, che in attacco di un pezzo non ha la pretesa di essere esaustiva. Del resto dire che ci sono le oasi non vuol dire certo che si possa negare il deserto. Quindi felicissima di poter esplicare meglio il mio pensiero, questa risposta testimonia che vive e si agita qualcosa, che le critiche vengono lette, che il dibattito si può, si deve animare.
    Allora non solo sottoscrivo in pieno la puntualizzazione di Salvo Gennuso, aggiungo che, in uno sguardo diacronico molto è avvenuto e molto ha dato questa città. I nomi da lui fatti sono tutte realtà degne di stima, ma non solo, di affetto, di riguardo, meriterebbero di essere ancora e più salvaguardate e stimolate.
    Come si potrebbe dimenticare la ricerca di Turi Zinna, l’onestà artistica di Savì Manna, l’originalità di Cristiano Nocera, l’esperienza di occupazione del Teatro Coppola, la capacità di guardare all’estero, di cercare il confronto con realtà importanti come Statale 114. Frutto di tutto ciò le Buone Pratiche, proprio a Catania.E fra i tantissimi che non cito, non è questa la sede, né è mio compito fare la top ten degli in e out, merita sicuramente un plauso il centro Zo, che in modo eroico resta come baluardo di un modo alto di intendere la cultura, una cultura aperta, disponibile, generosa come lo sono le persone che vi lavorano. Sono tutte realtà che ogni giorno lottano, creano, cercano un dialogo, cavalieri isolati di una battaglia culturale ancora tutta aperta. E come queste, molte altre realtà che forse non conosco, che forse potrebbero farsi conoscere, che forse dovrebbero e potrebbero emergere, che forse vanno fuori a guardare che succede, che forse stanno ancora cercando una strada. A tutti questi vorrei dire di avere coraggio, coraggio delle idee, del linguaggio, coraggio di scovare un pubblico, nuovo forse.
    Il mio voleva suonare come campanello d’allarme, forse un interrogativo, un pungolo: guardiamoci attorno cosa sta succedendo? Forse nessuno ha avuto il coraggio di scriverlo, non in modo così diretto, così perentorio, forse un pò troppo, beh non mi è difficile ammetterlo. Chiediamoci però se almeno sia servito a qualcosa, se sia servito a mettere in evidenza quel sostrato di provincialismo, quella inesistente necessità di confrontarsi con realtà diverse, che siano dentro o fuori dall’isola. Per questo sono sicura, sicurissima che anche, tu mio caro amico, sarai d’accordo con me.

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