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Wake Up!: i fiori spontanei della Primavera araba

“Maledetta Primavera” di Babilonia Teatri  – foto di Alessio Nisi

Si dice che la primavera sia il risveglio della natura, la stagione degli amori e delle nuove nascite, il trionfo dei colori e della ricezione sensoriale. Si dicono tante cose, si disse una volta che l’autunno era caldo, tale è rimasto; così da un po’ di tempo è la primavera che s’è fatta araba. Luoghi comuni. Ma dentro la loro forma di binomi fortunati e bloccati dalla cronaca in un significato rarefatto, risiede una verità che è urgenza civile e fulcro di trasformazione dei popoli: di questa nuova esplosiva primavera, delle vittorie e dei fallimenti, delle sue continue contraddizioni s’è contagiato il mondo arabo; di quella forza prova a dar notizia la creazione teatrale con questo progetto che proprio di risveglio prende il nome: Wake Up! – bagliori dalla primavera araba, promosso dal Teatro di Roma e presentato al Teatro Argentina in una serata estiva dell’ottobre romano. Vedi, come cambiano le stagioni?

Il progetto è prima di tutto una chiamata alla drammaturgia. Sei scrittori teatrali, di varia estrazione, hanno partecipato alla selezione curata dal Teatro di Roma con l’Unione dei Teatri d’Europa e Naunystrasse Ballhaus di Berlino per la sezione dedicata agli autori europei del Festival Voicing Resistance, che ha inteso riflettere sulla rinnovata premura della protesta nel Mediterraneo. Dunque, la drammaturgia. Quel che salta all’occhio con evidenza è prima di ogni cosa la qualità di immediatezza che il teatro – qui la scrittura per il teatro – è capace di raccogliere e sperimentare, sola tra le arti in grado di ridurre con efficacia lo stimolo a esperienza, perché la sola che vive per sua stessa natura una condizione continua di pericolo e di fragilità. Teatro è quel che in gesto o parola cade e non resta, ma proprio per questo si fissa nella parte fuggevole della percezione sensibile, per dirla con un’immagine: nel posto dove risiede, per gli uccelli, l’intenzione del volo.

“The Protester” di Magdalena Barile – foto di Alessio Nisi

Bisogna ammettere che una bella novità, strutturale ma non solo, ce la offre il Teatro Argentina che in primo luogo compie un’azione culturale di valore, ma per l’occasione costruisce anche – come ferma convinzione del suo direttore Gabriele Lavia ha sempre suggerito – un percorso di fruizione itinerante fra le “sale”, al plurale, di questo Stabile: il Palcoscenico, lo spazio Pandolfi, la Sala Squarzina, componendo così un doppio filo di senso artistico che offre del movimento un più ampio concetto, rendendo insieme in un felice intendimento la forma e il contenuto.

La Bandiera di Michele Santeramo; Maledetta primavera di Enrico Castellani (Babilonia Teatri); Scorrere, una rivoluzione origliata di Alessandro Berti; Non le dispiace se bevo di Renato Gabrielli; The protester di Magdalena Barile; In Tahrir di Riccardo Fazi (Muta Imago): questi i testi, tutti in via di pubblicazione sui Quaderni del Teatro di Roma – la rivista nata in seno al Teatro Stabile – nella collana Quaderni di scena che prende nome dal ciclo di incontri con la drammaturgia della scorsa stagione. Queste scritture hanno attraversato un arco molto ampio nella relazione con la materia: sono state affrontate le cause e le conseguenze, la drammatica partecipazione e la fredda distanza, la lucidità della riflessione e la passionalità dell’intervento, la povertà e la ricchezza dei mezzi a disposizione, dalle protesi per riaversi alla tecnologia per difendersi. Ciascun testo ha colto un frammento di una realtà non ancora raggrumata per una percezione chiara, ciascuno ha compiuto il suo piccolo atto politico di attenzione e trasformazione artistica di un tema civile, umano, perché se ne avesse – da così lontano – una migliore coscienza.

È primavera, e di mezze stagioni non ce ne stanno più se non una – continua – che è sempre quella di mezzo. Già, perché queste primavere arabe, sbocciate come se fiori spontanei bruciassero il tempo di crescita sullo stelo, quando non colte rischiano irrimediabilmente di sfiorire in un’estate riarsa: arida la terra cui è tradita la capacità di rinnovarsi. Il teatro sa farlo, il teatro ha svolto il proprio compito di rintracciare i frammenti lungo la parabola del volo. Ora tocca alla società civile, ora tocca a noi. Siamo in ottobre. Non è il caso di attendere la prossima primavera, vero?

Simone Nebbia

Leggi anche:
Teatro NEWS – WAKE UP! – bagliori dalla primavera araba (Teatro Argentina 4/10/2012)

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