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Parigi. Festival Temps d’image: l’installazione coreografica di Marta Soares

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Si festeggiano quest’anno i dieci anni del festival Temps d’image, manifestazione del network europeo promosso da ARTE, canale televisivo culturale con sede in Francia e con diffusione su scala europea, ancora una volta a Parigi, a La ferme du Buisson e al Centquatre, grandi spazi multidisciplinari, situati ai margini della città ma in piena espletazione dei propri potenziali.

Qui succede che un canale televisivo si faccia promotore di un festival situato perfettamente al crocevia tra le differenti discipline artistiche, in grado di intercettare con cura e professionalità le nuove tendenze delle arti performative sul piano internazionale.

Presente all’evento la coreografa danzatrice brasiliana Marta Soares, giovane artista formatasi a Londra, New York e Tokyo, il cui lavoro è presente in festival europei e d’oltreoceano.
Il paesaggio di sabbia (im)mobile di Vestígios è una installazione coreografica della durata di cinquantacinque minuti, durante i quali gli spettatori, in piedi o seduti, immobili o in movimento, sono invitati ad assistere allo svolgersi di quella che potrebbe sembrare una cerimonia religiosa.
Un corpo giace supino e ricoperto da dune di sabbia su un piano posto al centro della sala, due schermi sullo sfondo proiettano le suggestive immagini di sambaquis, sito sacro di epoca precolombiana: un paesaggio desertico, e il suo scorrere non lineare attraverso le ore del giorno e della notte. Un ventilatore soffia la sabbia via dal corpo della performer, con la lentezza di una clessidra le membra risorgono dalle dune. L’azione che permette il procedere scandito del tempo è dunque affidata alla macchina che soffia via la sabbia, il corpo e l’immagine video riposano invece in un “qui e ora”, in un tempo fuori dal tempo.
Il suono, creato da Lívio Tragtenberg, crea la costante, il tappeto immateriale fatto di vento, musica, distorti rumori di fauna, sul quale gli spettatori si adagiano, in contemplazione dell’atto, avvicinandosi e allontanandosi all’oggetto della situazione proposta dall’artista: il corpo che si svela lentamente sotto la sabbia soffiata via dall’aria.
Dopo la meraviglia iniziale, la performance dell’artista brasiliana sollecita una necessaria riflessione sullo stato e sui confini della danza e del medium teatrale al confine con le pratiche artistiche con cui si trovano in stretta relazione (la video arte, la performance, l’installazione).

Cosa fa di un atto performativo uno spettacolo adatto a una situazione teatrale piuttosto che a una dimensione installativa? Dove si situa la coreografia quando si sottrae alle regole canoniche della danza moderna e contemporanea?
Marta Soares crea una situazione spettacolare, in grado di manifestare un’idea forte e affascinante: la spiritualità del passare del tempo lento e inesorabile che si concretizza nell’immagine della sabbia che scorre sul corpo senza viso, avvolto dalla sacralità emanata dalle immagini dei siti indigeni, le sambaquis. Nonostante agli spettatori sia richiesta la visione integrale del lavoro, per la durata di un’ora circa, il lavoro non giustifica un tempo teatrale, essendo carente nello svolgimento, sul piano drammaturgico dunque, nonché dal punto di vista coreografico. Non è presente una pura coreografia che, sostituendosi alla drammaturgia, possa giustificare il medium “teatrale” (la tipologia di fruizione dello spazio/tempo soprattutto, caratteristiche principali e ultime di quello che ancora oggi possiamo chiamare teatro), non perché non sia presente movimento del corpo in scena – non sarebbe questa una giustificazione sufficiente a denotare l’assenza di scrittura coreografica -, quanto perché non risulta evidente una partitura, un dialogo reciproco tra gli elementi che compongono la performance. Suono, immagine video, corpo del performer, oggetto/corpo del ventilatore, elemento partecipativo dei fruitori, restano parti scollegate, o unite solo in un tempo puntuale, quello della situazione data dall’inizio, tipologia di tempo che appartiene all’installazione d’arte piuttosto che alla pratica coreografica.
Sebbene dunque la forzatura del pubblico a una visione collettiva sia giustificata dalla volontà di ricreare la dimensione di raccoglimento spirituale attorno a un totem, non trova giustificazione artistica la durata della performance, se non nella necessità tecnica di soffiar via la quasi totalità della sabbia dal corpo. Ma il dato tecnico è in questo caso carente rispetto all’idea artistica.
Riscontriamo in questo caso una problematica relativa al riconoscimento delle caratteristiche essenziali del medium artistico in cui si decide di collocare il proprio lavoro, problema sempre più diffuso data la fluidità con cui è oggi possibile passare da un linguaggio a un altro nell’ambito della creazione artistica. Questa fluidità dovrebbe essere dunque da motore per una riflessione ancora più approfondita sulle caratteristiche dei differenti linguaggi e medium artistici.

Chiara Pirri

Vestígios
conception – direction générale : Marta Soares
performance : Marta Soares
son : Lívio Tragtenberg
lumière : Andre Boll
espace scénographique : Renato Boletti Rebouças
vidéo : Leandro Lima
photographie : Ding Musa
éclairagiste : Silviane Ticher
assistant : Manuel Fabrício

Prix APCA 2010 pour la catégorie Recherche en danse, et nomination pour le Prix Bravo! 2010.
Production : Christiane Klein (Dionísio Produções).

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