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Il circo di Buren fa da Apripista all’incontro Nord/Sud

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Foto di Ufficio Stampa

Vederlo di sera, quando il buio avvolge le strade lungofiume quasi silenziose proprio come l’acqua del Tevere si cheta dai rombi quotidiani, quel ponte tutto bianco e avveniristico passo della modernità fra le antiche vie della città eterna, fa un certo effetto destabilizzante: dal quartiere di qua al quartiere di là, dalla Roma sanguigna e un tempo papalina alla Roma futuribile del villaggio olimpico che in quel silenzio pare sia stata costruita; questo Ponte della Musica è un legante artificiale ma determinante nel passo delle civiltà, spartiacque del corso teverino e delle epoche che lo sovrastano. Uno spazio sospeso, che faccia da Apripista all’ingresso nell’una o nell’altra parte di città, sembra questo l’intento dei costruttori di questo accesso sollevato dalle esistenze consone: come impedirsi allora, traslandone i significati, di fare proprio lì sotto il Festival del Circo Contemporaneo e chiamarlo proprio Apripista?

Gigi Cristoforetti è un coraggioso direttore artistico che, dopo aver arricchito il festival Torinodanza con i Weekend del Circo Contemporaneo nella scorsa edizione autunnale di Prospettiva 150 (uno, l’abbiamo attraversato), dopo aver fondato e diretto il Centro di promozione del circo contemporaneo, ora porta a Roma per il secondo anno, all’Auditorium Parco della Musica, il segno distintivo della sua ricerca: in questi anni, forse più di altre occasioni, il circo sta fornendo al teatro e alla danza opportunità di creazione ideale e di pensiero artistico fuori dall’ordinario, offrendo spunti sempre nuovi e concreti spazi di riflessione, così che davvero è pioniere chi cerca di interagire con l’idea generale che – specialmente in questo paese – ci si è fatti del circo, quel carrozzone di numeri senza un preciso intento di relazione che non fosse la mera spettacolarità d’intrattenimento. Difficile è sovvertire un radicamento, così il rischio è ancora maggiore quando si fa riferimento a certe definizioni assestate nel caldo cellulare di un significato. È su queste basi che è stata impostata la scelta dei due spettacoli in cartellone Nord/Sud di BurenCirque e Face Nord di Un loup puor l’homme.

Ponte della Musica di Roma

Nord/Sud è stata la prima italiana di Daniel Buren e del suo BurenCirque, gruppo che fa del circo una possibilità di “incontro diretto con l’arte contemporanea” e che ha immaginato questo spettacolo proprio come relazione immediata fra Nord e Sud, poli opposti eppure speculari, che spetta intimamente all’arte riunire e porre in ascolto reciproco. Nel tendone si entra dopo un piccolo percorso tra i fili che lo tengono su, si calpesta lo stesso sterrato che fa da piano allo spazio scenico: dietro un velo è un corridoio circolare, poi un velo ancora ad escludere il centro dello spazio; nel corridoio si seguono i suonatori, gli illusionisti, un mangiafuoco, una musica ipnotica di xilofono invade invece l’intera cellula, mentre un clarino sorvola la partitura di suoni come sottili barriti: è proprio qui che una voce s’installa, una voce africana che sembra esplodere e inchioda a terra mentre in alto, solo ora m’accorgo, gli acrobati sono a camminare e a volte ballare sul filo e si appendono i trapezisti a corde tese quanto i loro muscoli. È questa la relazione, questo il Nord/Sud, in questa atmosfera velata di apnea sospesa in una sorta di compressione che pian piano si libera e si palesa: cade un velo dietro l’altro e i passanti, prima in circolo, si riuniscono in un cantuccio in cui diventare coro e orchestra, in alto ancora si tendono gli acrobati privi di rete, straordinariamente abili al punto di sottrarsi alla spettacolarità, con un misto di leggerezza fisica e sapienza tecnica svelano una forte padronanza di linguaggio, ma di una lingua che dal “numero da circo” sa esulare e si fa costruzione d’arte, elemento di relazione sensibile e – dunque – di creazione. Forse difficile è la visione d’insieme, forse l’eleganza e la raffinatezza dell’esecuzione non rendono interamente giustizia di un progetto da cui, probabilmente, era lecito attendersi di più, ma di questo circo contemporaneo dobbiamo rendere noto il grande sforzo di unire mondi, ravvisare segni vividi oltre la spessa patina di banale rappresentazione, rilanciare verso espressioni ricercate e non cedere all’imbarbarimento delle forme, farsi ponte tra epoche ed estetiche, un ponte magari tutto bianco, moderno, tra una sponda e l’altra del fiume.

Simone Nebbia

Visto all’Auditorium Parco della Musica in Aprile 2012

NORD/SUD
di BurenCirque

direzione artistica Dan Demuynck e Fabien Demuynck
lavoro nomade, arti plastiche Daniel Buren
direzione musicale Philippe Nahon
funambule en grande hauteur Didier Pasquette
funambule fil de ferriste Tatiana Bongonga
aérien Armance Brown
équilibriste Christelle Dubois
marionnettiste du Bénin Grégoire Vissého
aérien Elod Trager
jongleur Alexandre Picheral
tama Baba Kouyaté
balafon Mamadou Kouyaté
basson Zélia Rault et la chanteuse Hawa Sissao du Burkina Faso
son Eric Maurin

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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

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