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Skylight. L’irruzione della verità nell’Independent English Theatre

foto di Ufficio Stampa (independentenglishtheatre.com)

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Sono tempi difficili, soprattutto per gli spazi e per gli artisti indipendenti, che sull’affluenza del pubblico basano la propria sopravvivenza. Con l’enorme e non sempre eccelsa concorrenza offerta da altri 81 luoghi, un teatro romano deve inventarsele tutte. Di certo offrire Skylight, il premiatissimo testo del celebre drammaturgo inglese David Hare, nella sua versione più originale, vale a dire senza prevederne una traduzione in italiano, restringe statisticamente l’uditorio. E infatti, a metà della prima settimana di repliche, la Sala Grande del “multisala off” Teatro dell’Orologio conta otto spettatori. Interessante e importante, al di là delle esigenze promozionali esplicitate dal bollino della British Embassy Rome, il progetto di restituzione filologica della drammaturgia contemporanea britannica ad opera della compagnia Independent English Theatre che agisce in inglese con esperti attori madrelingua o perfettamente (come in questo caso) bilingue.

La scena di Ciro Paduano ricrea con gusto iperrealista un flat nell’East London, un interno tipicamente britannico riempito di tutti i piccoli dettagli che ne suggeriscono la peculiarità a chiunque sia entrato almeno per una volta in un appartamento nella luce livida di una Londra invernale. Sul lavello non ci sono spugnette ma una lunga spazzola, a portata di mano un barattolo di salsa simil-HP, il tè è necessariamente PG, le buste della spesa arancioni ricordano quelle di Sainsbury. È casa di Kyra (Sandra Paternostro), insegnante in una scuola della svantaggiata periferia, che nella stessa serata riceverà la visita del giovane Edward (Vico De Carle), pronto a rimproverarla per la sua latitanza, e poi di suo padre Tom (Rinaldo Rocco), ricco imprenditore della ristorazione e suo ex amante. A dare motivo alle due visite, al riaffiorare del passato e alle conseguenti evoluzioni è la recente morte della moglie di Tom, Alice, amica di Kyra che aveva scoperto il tradimento.

Lo stile del testo torna in tanta drammaturgia britannica di oggi: unità di tempo e spazio, contenitore scenico che conserva un preciso contesto e un fiume di dialoghi il più possibile rapidi, acuminati e sputati fuori senza indugi nel melodramma e con qualche pausa di ritmo che ricostruisce i pensieri. Se spesso ci lamentiamo dell’eccessiva verbosità di certa drammaturgia è perché la parola in scena dovrebbe invece conservare la propria essenzialità. Ma non è detto che l’unico modo per ottenerla sia centellinare le battute. Qui la strategia, opposta, è di ricoprire l’azione di un movimento verbale e gestuale che di rado ammette latenze, in modo che le frasi e i movimenti chiave (tutto sommato pochi) emergano per supremazia, imponendosi quasi per selezione naturale.

I tre abilissimi attori, con giusta prominenza di Paternostro e Rocco, ricostruiscono la vicenda del triangolo amoroso senza mai davvero “metterla in scena”, ché la regia di Psyche Stott la relega in un passato di foglie morte, di dolori da comprimere, conservandone tutta la potenza di fuoco grazie all’affermazione di una serie di assenze. Il rapporto tra Tom e Kyra, che vive una momentanea fiammata di ritorno, viene estinto nuovamente dal freddo della memoria e da una incolmabile divaricazione sociale tra il frivolo individualismo dell’upper class di Chelsea contro una militanza culturale riscoperta nei bassifondi dell’East Ham.
Immersi come siamo in una rappresentazione fedelissima di tanti piccoli gesti casuali, dal riordinare il soggiorno all’emblematico piatto di spaghetti al sugo realmente (e da copione) preparato in scena, stonati risultano in un primo momento certi suoni campionati (campanello, portiere d’auto che sbattono in strada). Tuttavia il nodo poetico potrebbe essere proprio lì, in questo micro-universo di riproduzione fedele che, contrapposto alla fredda meccanica dell’acustica del “fuori”, va a costituire un baluardo della verità in un mondo che procede per menzogne e per affermazione di apparenze. Ciò spiegherebbe anch quella, altrimenti azzardata, parete di fondo mancante, che allude a un retroscena buio e mai abitato. Ecco da dove arriva quel freddo.
Sergio Lo Gatto

in scena fino al 1 aprila 2012
Taetro Orologio – Sala Grande [cartellone]

Skylight
di David Hare
regia di Psyche Stott
spettacolo in lingua inglese con Sandra Paternostro, Rinaldo Rocco e Vico de Carle

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Sergio Lo Gatto
Sergio Lo Gatto
Sergio Lo Gatto è giornalista, critico teatrale e ricercatore. È stato consulente alla direzione artistica per Emilia Romagna Teatro ERT Teatro Nazionale dal 2019 al 2022. Attualmente è ricercatore presso l'Università degli Studi Link di Roma. Insegna anche all'Alma Mater Studiorum Università di Bologna, alla Sapienza Università di Roma e al Master di Critica giornalistica dell'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica "Silvio d'Amico" di Roma. Collabora alle attività culturali del Teatro di Roma Teatro Nazionale. Si occupa di arti performative su Teatro e Critica e collabora con La Falena. Ha fatto parte della redazione del mensile Quaderni del Teatro di Roma, ha scritto per Il Fatto Quotidiano e Pubblico Giornale, ha collaborato con Hystrio (IT), Critical Stages (Internazionale), Tanz (DE), collabora con il settimanale Left, con Plays International & Europe (UK) e Exeunt Magazine (UK). Ha collaborato nelle attività culturali e di formazione del Teatro di Roma, partecipato a diversi progetti europei di networking e mobilità sulla critica delle arti performative, è co-fondatore del progetto transnazionale di scrittura collettiva WritingShop. Ha partecipato al progetto triennale Conflict Zones promosso dall'Union des Théâtres de l'Europe, dove cura la rivista online Conflict Zones Reviews. Insieme a Debora Pietrobono, è curatore della collana LINEA per Luca Sossella Editore e ERT. Tra le pubblicazioni, ha firmato Abitare la battaglia. Critica teatrale e comunità virtuali (Bulzoni Editore, 2022); con Matteo Antonaci ha curato il volume Iperscene 3 (Editoria&Spettacolo, 2018), con Graziano Graziani La scena contemporanea a Roma (Provincia di Roma, 2013). [photo credit: Jennifer Ressel]

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