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Con arido amore, Piero Gobetti brinda oggi alla rivoluzione liberale

In ogni manicomio che si rispetti – quelli veri o quelli dei film – c’è sempre, come un’istituzione dentro l’istituzione, il matto che si crede Napoleone, tipico frequentatore di sale d’aspetto e giardini fuori padiglione, con la feluca in testa e la mano destra nascosta tra i bottoni della divisa; di solito è come una guida, sempre il primo che si rivolge ai passanti, curiosi, che mettono il naso dentro le grate, dentro le mura della cittadina dei matti. Ora, con Napoleone è facile, un grande condottiero e imperatore che ha fatto la storia, anzi, che credeva di essere, la storia, ma tutti gli altri matti? Chi si credono di essere? Quando uno immagina chi diventare, quasi sempre si sceglie il grande personaggio raccontato dai libri, dai film, quello che restituisce subito l’impatto insomma, a chi verrebbe in mente di credersi, fra tanti, quel grande intellettuale antifascista che è stato Piero Gobetti? Uno che oggi vive la stessa emarginazione delle sue idee rivoluzionarie? Ecco, giusto un matto, appunto. Oppure un insegnante precario di un istituto alberghiero colpito dall’ennesima delusione politica, sociale, civile, come la vittoria dei sì al referendum per Fiat-Mirafiori, quando la sua indignazione ha raggiunto i limiti di guardia e, come volersi cercare le fattezze di un supereroe, ha creduto, sperato, di far vivere nel suo corpo per un po’, Con arido amore, Piero Gobetti.

Emanuela Cocco (che risponde al nome di compagnia Franz Biberkoff) compone un testo dagli scritti di Gobetti, assimila le sue idee al personaggio che lo rappresenta, disegnando come un doppio binario in cui il pensiero politico si innesta nelle trasformazioni di Nicola Bologna, 39 anni, che in quel pensiero ci crede al punto che per imporlo, fare in modo che ci credano altri, come se non credesse possibile la mancata partecipazione che dopo il referendum si era fatta evidente, intenderà allora impersonare il suo ideatore. Un attore solo, in scena: Claudio Di Loreto decisamente a suo agio con la richiesta che gli giunge, ossia quella prova d’attore tanto seria da non perdere il pensiero dell’intellettuale, tanto sporca che quella serietà non diventi un eccesso, e quindi l’arma contraria. Di Loreto inizia dal pubblico, da quell’interazione che lo vuole parte degli ascoltatori delle idee che esprime, poi sceglie la scena arretrando, là dove con l’aiuto di alcuni oggetti più o meno incisivi invita sé stesso e noi attorno alla definizione di quei principi liberali cui Gobetti era così profondamente legato. Tanto, in questa disposizione all’ascolto che non manca e che sono bravi a creare, è dovuto alla scelta di una regia attenta (della stessa Cocco e di Francesca Guercio, in misure variabili, e con la collaborazione di Fabio Massimo Franceschelli) di alleggerire il racconto con inserti di voci registrate in un ipotetico supermercato, in modo da esprimerne il concetto con una dimostrazione pratica immediata e, dunque, innescare tutt’altro che alleggerimento (è il mezzo, non il fine, ad essere leggero). E allora il brindisi con lo spritz “alla rivoluzione liberale”, quella che sarà un muro di molti colori, fragile e pure in equilibrio, fino allo sgretolamento, poi quello schermo monocromo verde acido che passa, in audio, le voci delle interviste all’uscita dai seggi che si intuiscono essere in video, ma in cui l’immagine non esiste più, finita nello stesso uniforme annientamento del dissenso: questi elementi ne fanno uno spettacolo coraggioso che sceglie l’esemplarità di un grande uomo del secolo scorso (che tanto ancora al nostro saprebbe dire) e non ha paura di prendersi gioco di sé, di denunciare alcune proprie giocose incongruenze, questo modo di trattare la materia che sembra frivolo, ma non per questo è meno serio.

Postilla del critico: Gobetti è stato un critico teatrale ruvido e dedito all’uso della scrittura a mo’ di pen(n)a capitale. Proprio l’attore Di Loreto conclude lo spettacolo leggendo alcuni suoi acerrimi scritti e rivolgendoli a questo suo spettacolo che forse a Gobetti avrebbe suggerito una stroncatura, tanto censorio il suo sguardo, ma che per noi è invece una maniera divertente e animosa, viva, di non farsi soggiogare dagli schemi della riproduzione e operare – indubbiamente, che piaccia o meno – una vera operazione culturale.

Simone Nebbia

Visto a Roma – La Riunione di Condominio il 19 dicembre 2011 (leggi la stagione 2011-2012)

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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

3 COMMENTS

  1. vorrei aggiungere un elemento di cronaca: il delizioso omaggio di Di Loreto a Roberto Latini, che viene imitato durante gli applausi che fanno da preludio alla critica gobettiana

  2. Cara Emanuela, avete riportato in vita una figura importante con grande sincerità: la ricerca dell’esemplarità è quello che ci ricorda di essere uomini pensanti e attivi, che le nostre sorti dipendono da noi. Perciò grazie a te, a chi lavora in questa direzione. Simone

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