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HomeVISIONIRecensioniSul teatro al tempo dell'iPod. Uno sguardo a Video Walking Venice

Sul teatro al tempo dell’iPod. Uno sguardo a Video Walking Venice

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Riportiamo qui due interventi di Andrea Pocosgnich pubblicati sull’Ottavo Peccato, quotidiano di critica teatrale diretto da Andrea Porcheddu e attivo durante l’ultima Biennale Teatro. Il primo è l’editoriale del 14 ottobre, il secondo è una breve recensione uscita il 15 ottobre su Video Walking Venice, performance site-specific di Rimini Protokoll.

Siamo nell’era dei social network, delle relazioni virtuali coatte, del relativismo dei rapporti interpersonali, dove il web e le scienze informatiche determinano una nuova articolazione del sociale e delle sue rappresentazioni. Telegiornali e talk show sono ormai abituali contenitori di questi temi, ma qual é l’effetto della digitalizzazione nei linguaggi artistici performativi e soprattutto nello specifico teatrale? La prima considerazione riguarda gli effetti del ‘linguaggio macchina’ sul linguaggio scenico. Uno dei risultati più alti degli ultimi anni l’abbiamo visto proprio nell’impianto di Seigradi (Santasangre), dove la performer agisce in scena a stretto contatto con l’utopia futurista dell’attore sostituito da un’evanescente astrazione. Ma non è solo il panorama contemporaneo, anche il teatro ‘di giro’ non rinuncia ad avventurose proiezioni in computer grafica su veli di ogni tipo e membrane di qualunque spessore: emblematico in questo senso è Roman e il suo cucciolo con la regia di Alessandro Gassman, che fa uso di intraprendenti tecniche cinematografiche riducendone però la funzione a mero decorativismo scenografico o tutt’al piú a un didascalico propulsore empatico. La seconda considerazione riguarda la fruizione della performance, ovvero il rapporto tra il pubblico e l’avvenimento spettacolare. È qui che ci troviamo di fronte agli sviluppi più interessanti .Un articolo uscito su “Il Sole 24 ore” all’indomani della morte di Steve Jobs evidenziava quanto fosse stata vincente la scommessa di un ipotetico investitore ai tempi della commercializzazione del primo iPod: un acquisto di 1000 dollari di azioni Apple allora avrebbe fruttato oggi ben 378000 dollari. La rivoluzione non ha tardato ad arrivare sulle nostre scene, creando in primis un nuovo modello fruitivo e – in secondo luogo e per diretta conseguenza – un’apertura a nuove possibilità drammaturgiche e scenografiche. Dal lavoro Video Walking Venice dei berlinesi Rimini Protokoll, che vedremo nella giornata di oggi, ai tentativi di gruppi artistici di origine mista come gli italo-inglesi Rotozaza e Pixel Rosso, la scena è tutta un fermento di iPod, auricolari e, nel caso di Pixel, visori che proiettano direttamente lo spettatore all’interno di un’avventura, a dire la verità, ancora a metà tra il game-book e una sorta di attrazione romanzata da luna park. Capire in che modo nuovi media e tecnologie potranno cambiare il nostro modo di fruire il teatro, anche rispetto alle molteplici possibilità drammaturgiche a cui andremo incontro, è una partita ancora tutta da giocare. Soprattutto, quale spazio avranno le storie – già così poco frequentate nell’epoca contemporanea – in una realtà scenica sempre più ipermediata?

A spasso con Kaegi

Terminato Video Walking Venice, esempio di autoteatro proposto dai Rimini Protokoll, alcuni degli attori italiani che per Kaegi hanno registrato i video hanno raccontato di come il lavoro sia nato collettivamente, a partire da piccole suggestioni create sul momento: da sensazioni e dal vissuto privato. Sono loro ad accogliere gli spettatori, a guidarli nel percorso, intervenendo in caso di difficoltà. Si creano strani cortocircuiti in questa performance agita dal pubblico ma già videoregistrata dagli attori con degli iPod in una fase passata e fortemente laboratoriale. Si sperimentano spezzoni di vita altrui, delicatamente la voce dell’interprete nelle cuffie guida verso una scoperta fenomenica. Non c’è la volontà di intrecciare storie nelle quali far immergere il fruitore, c’è invece una tensione verso i rapporti interpersonali. Il patto – a dirla tutta abbastanza fragile – contiene tra le clausole un obbligo di partecipazione quasi totale. Se non si seguono attentamente le istruzioni si rischia di corrompere anche il ‘gioco’ altrui: ci muoviamo nella stanza allestita per l’occasione nel palazzo della Biennale, incontriamo sul nostro percorso i passi e gli occhi dell’altro, ma quasi nulla in realtà cattura lo sguardo. Nel mezzo tecnico e nella modalità dell’azione si sciolgono idee e contenuti fin troppo semplici per sottoscrivere quel contratto con sincero abbandono.

Andrea Pocosgnich

Articolo apparso anche su L’Ottavo Peccato – 41 Biennale di Venezia

Leggi gli altri articoli dalla Biennale Teatro 2011

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Andrea Pocosgnich
Andrea Pocosgnichhttp://www.poxmediacult.com
Andrea Pocosgnich è laureato in Storia del Teatro presso l’Università Tor Vergata di Roma con una tesi su Tadeusz Kantor. Ha frequentato il master dell’Accademia Silvio D’Amico dedicato alla critica giornalistica. Nel 2009 fonda Teatro e Critica, punto di riferimento nazionale per l’informazione e la critica teatrale, di cui attualmente è il direttore e uno degli animatori. Come critico teatrale e redattore culturale ha collaborato anche con Quaderni del Teatro di Roma, Doppiozero, Metromorfosi, To be, Hystrio, Il Garantista. Da alcuni anni insieme agli altri componenti della redazione di Teatro e Critica organizza una serie di attività formative rivolte al pubblico del teatro: workshop di visione, incontri, lezioni all’interno di festival, scuole, accademie, università e stagioni teatrali.   È docente di storia del teatro, drammaturgia, educazione alla visione e critica presso accademie e scuole.

1 COMMENT

  1. Purtroppo non l’ho visto anche se era il lavoro che mi interessava più di tutti. Tuttavia, da quel che leggo, a parte il rapporto fra teatro e tecnologie mediali trattato in modo che condivido solo in piccolissima parte, mi sembra di capire che l’esperimento metta in luce proprio lo specifico delle tecnologie che usa cioè la dimensione partecipativa e di relazione. Il che per me vuol dire che come sempre Rimini Protokoll non sbaglia, almeno concettualmente. Poi, ripeto, per il resto non posso giudicare.

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