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Prima di andar via. Teatro d’autore per i primi fuochi dell’Argot

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Ci sono delle volte, capita raramente, nelle quali anche uno spettatore allenato viene tratto in inganno, quasi costretto a tirare i remi in barca, si abbandona ritrovando quel piacere perduto centinaia di spettacoli fa. Sono serate fortunate che hanno la capacità di riallacciare il teatro a quel ruolo da sempre anelato, di amplificatore dell’animo umano e dello spirito di una comunità. E allora è facile che pure lo spettatore assuefatto, preparato a tutto, si lasci attraversare senza tentare minimamente di fermarsi di fronte al “gioco drammaturgico” per denudarne i meccanismi. È accaduto al Teatro Argot ieri sera, allo spettacolo di apertura della stagione e non solo a chi vi scrive. Negli spazi appena ristrutturati, pronti ad accogliere “l’apocalisse teatrale” (così la coppia di direttori artistici Frangipane-Panici ha titolato l’annata appena cominciata), il testo di Filippo Gili trova l’alveo per arrivare alla giusta temperatura e “vivere” sulle labbra e sui corpi di un ensemble di primissimo livello. Uno è lo stesso autore, è lui a portarsi sulle spalle il peso del personaggio più complesso, Francesco. Poco più che trentenne è un uomo dall’animo svuotato, il dolore per la perdita della moglie gli riserva solo la possibilità di una fredda razionalizzazione. “La vita va digerita” sospira in una delle battute più toccanti, e lui non può viverla nello spettro dell’assuefazione al dolore. Meglio abbandonare ogni sentimento e con essi una vita che non è più.

Prima di andar via, in scena all’Argot fino al 23 di ottobre per la regia di Francesco Frangipane, lambisce i più oscuri lati dell’uomo setacciando il dolore lì dove credevamo di averlo per bene nascosto. Vi riesce non solo grazie a un testo asciutto, tanto semplice quanto spietato (ma allo stesso tempo tenero) e gelido, ma anche grazie a una regia che lavora sugli attori, tra le pieghe dei respiri, nella dilatazione delle atmosfere, con una ritmica delle emozioni che spezza il fiato al pubblico. Sono i sentimenti a unire i personaggi anche quando Frangipane li tiene fermi, bloccati su una sedia o con la faccia rivolta al muro, sono i personaggi ad affrontare il proprio incontro con la vita, un po’ come il Wrestler raffigurato nell’opera di Flavio Solo, icona dell’Argot per questa stagione. Sono cinque anime gettate in pasto al proprio destino. La scena è il luogo della lotta, lo spazio della battaglia senza ring, con gli spettatori ai due lati, pronti anch’essi a scrutarsi specchiandosi nelle reazioni altrui. È quello che succede quando durante una cena come le altre, di una famiglia senza macchia, mentre il padre e la madre (Giorgio Colangeli e Michela Martini) raccontano dell’ultima vacanza ai tre figli (oltre a Gili, Vanessa Scalera e Silvia Siravo), la battuta “io domani non sarò più vivo” è come un colpo di mortaio a una festa. In un attimo la scena diventa più vuota di quello che è, le mura delle stanze, visibili solo nei perimetri che le disegnano in pianta tridimensionale, improvvisamente sono le mura di una prigione dalla quale nessuno può fuggire. Il tonfo perpetuo e ritmato di un cuore aritmico batte il tempo di una vita che se ne va, senza appello e ritorno.

Andrea Pocosgnich

visto alla prima del 5 ottobre 2011

in scena fino al 23 ottobre
Teatro Argot [vai al programma completo della stagione 2011/2012] Roma

Doppia effe production
in collaborazione con Argostudio
PRIMA DI ANDAR VIA
di Filippo Gili
regia Francesco Frangipane
con Giorgio Colangeli, Filippo Gili, Michela Martini, Vanessa Scalera, Silvia Siravo
con l’amichevole partecipazione di Rossana Mortara
musiche originali Roberto Angelini
scenografia Francesco Ghisu
luci Javier Delle Monache
costumi Bianca Gervasio
foto Lorenzo Cicconi Massi
assistente alla regia Laura Fronzi

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Andrea Pocosgnich
Andrea Pocosgnichhttp://www.poxmediacult.com
Andrea Pocosgnich è laureato in Storia del Teatro presso l’Università Tor Vergata di Roma con una tesi su Tadeusz Kantor. Ha frequentato il master dell’Accademia Silvio D’Amico dedicato alla critica giornalistica. Nel 2009 fonda Teatro e Critica, punto di riferimento nazionale per l’informazione e la critica teatrale, di cui attualmente è il direttore e uno degli animatori. Come critico teatrale e redattore culturale ha collaborato anche con Quaderni del Teatro di Roma, Doppiozero, Metromorfosi, To be, Hystrio, Il Garantista. Da alcuni anni insieme agli altri componenti della redazione di Teatro e Critica organizza una serie di attività formative rivolte al pubblico del teatro: workshop di visione, incontri, lezioni all’interno di festival, scuole, accademie, università e stagioni teatrali.   È docente di storia del teatro, drammaturgia, educazione alla visione e critica presso accademie e scuole.

4 COMMENTS

  1. premetto che ognuno ha la propria percezione di uno spettacolo, ma ritengo che la sua critica sia fuorviante. Lei parla di serata rara e fortunata, di gioco psicologico che denuda i meccanismi del testo. Ho visto lo spettacolo con alcuni amici, tuttti d’accordo nel trovare lo spettacolo “uno spettacolo nella norma” e cioè senza grandi voli o esaltazioni come sembra dalla sua ciritca, interpreti buoni ma che non regalano mai emozioni, una regia che trova la sua unica creatività nel far mettere gli attori di spalle per 5 volte durante lo spettacolo, luci brutte, le musiche di Roberto Angelini che si limitamo a 2 tracce di un loop di un cuore con 3 note di archi in sottofondo. Per non parlare poi del testo, banale e senza movimento, ancora si deve sentire: “mi ricordo che da piccola guardavo il profilo della mamma mentre dormiva e questo mi rendeva felice”!!!???? Non ho trovato nessun gioco psicologico, nessun sotto testo, ma ripeto, soprattutto nessuna emozione….su 8 persone che eravamo siamo usciti pensando solo a dove andare a mangiare…nessuno strascico di ciò che avevamo appena visto purtroppo!!!

    • Ciao Andrea,
      Perdona se ti rispondo così in ritardo.
      Scusa ma chi ha parlato di “giochi psicologici”? Io di sicuro no. Adesso non so se sei stato sfortunato e hai trovato una serata un po’ sottotono, a teatro succede. E soprattutto se si parla di spettacoli come questo, dove la recitazione deve viaggiare su binari sicuri dall’inizio alla fine senza sbagliare di un millimetro, basta abbassare la carica emotiva anche di pochissimo che salta tutto.

      Mi dispiace, non penso di aver fatto una critica fuorviante, anche perché quella sera lo spettacolo non ha lasciato di stucco solo me e un drappello di critici (anche più esperti), ma è stato tutto il pubblico a essere uscito dalla sala con la convinzione di aver visto qualcosa di prezioso. Poi scusa, ma tu in Italia veramente riesci a trovare testi del genere così facilmente? Veramente ultimamente ti è capitato di trovare attori così affiatati e bravi?

      a.

  2. Innanzittutto grazie della risposta e del confronto. Di giochi psicologici parlava la sinossi dello spettacolo e ho confuso, mi dispiace di averti (ti do del tu anche io) messo in bocca parole che non hai detto. Seguo il tuo sito da parecchio e mi sono quasi sempre trovato d’accordo con te e i tuoi colleghi sui giudizi espressi ma su questo spettacolo proprio no! Tu mi parli di un manipolo di crtici e un pubblico conviniti della preziosità dell’opera e io ti potrei rispondere che il mio gruppo e altri amici (tutti “mangiatori”di teatro) che hanno visto lo spettacolo in altre serate diverse, mi hanno parlato tutti di un testo che non convince e uno spettacolo “volenteroso” ma debole. Detto questo vorrei rispondere alle tue domande. In Italia difficilmente trovo testi interessanti, negli ultimi anni (ho 52 anni e seguo il teatro da sempre) ancora devo trovare una drammaturgia convincente, una drammaturgia non casuale ma che riesca a radicarsi nella realtà teatrale, se ci pensi i nostri autori più rappresentati sono De Filippo e Pirandello e questo è colpa di una assenza di drammaturghi che abbiamo la capiacità di generare una nuova ondata di drammaturgia teatrale. Detto questo sono io che chiedo a te: qual’è il valore di questo testo? Forse mi sfugge, forse non ho capito il senso, mi sono trovato di fronte ad un uomo che annuncia il suo suicidio e la famiglia che cerca di convincerlo a non farlo, ti chiedo qual’è il sottotesto profondo, l’urgenza di scrivere un testo così? Forse la sua versione cinematografica era più forte e incisiva (non riesco a trovare il film) forse sul palco non funziona come dovrebbe, però se questo è un testo di alto valore nel panorama della drammatugia italiana è perchè intorno abbiamo molto poco se non addirittura niente penso. Sugli attori, che dire, di certo Gili, Colangeli e la Scalera sono bravi (sopra tutti Gili) la Martini ha una recitazione vecchia maniera che non mi ha comunicato granchè del personaggio, la Siravo la trovo molto debole, ma soprattutto il testo non offre grandi possibilità attoriali, e questo è un grande limite della scrittura, è un testo cinematografico la quale trasposizione teatrale perde tanta della sua forza drammaturgica. Ti ringrazio del confronto e ti auguro buon lavoro!

    Andrea

  3. Io l’ho visto ieri sera e sì mi è sembrato di aver visto qualcosa di prezioso. Poi non so, mi sono anche commossa e non mi capita praticamente mai, quindi stavolta io invece la recensione la condivido in pieno. Non direi mai di questo spettacolo che è uno spettacolo nella norma. Ma è la mia percezione, certo ognuno ha la sua 🙂

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