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I masnadieri di Lavia: Schiller heavy metal

Sono una banda di metallari anni ’80 I masnadieri di Gabriele Lavia. Arrivano dal fondo della scena, in lontananza, neanche fossero la gang di qualche quartieraccio di New York; sono dei ribelli, hanno sposato la causa del male e avanzano verso di noi al suono di un’orecchiabile marcetta che ci conquista sin dalle prime sonorità celtiche. Stivali, pantaloni stretti neri, cappelli o bombette varie, occhi neri e pistole a più non posso.

Il direttore del Teatro di Roma per questa prima uscita della compagnia stabile, ha utilizzato tutto lo spazio che gli era concesso in una delle due sale del Teatro India, non ha fatto costruire imponenti scenografie ma, come fece nel Macbeth, ha affogato il palcoscenico sotto uno strato di terra (potentissima madeleine per far emergere all’istante muschio e presepi natalizi), pali di metallo come querce in una foresta e le mura della sala interamente dipinte da graffiti, addirittura le porte da dove entra il pubblico sono una festa di teschi scheletri e scritte. Sullo sfondo, alla fine della sala, una scritta gigantesca: Sturm und Drang,  a voi la scelta se ritenerla geniale o didascalica dato che si parla di Schiller.

Il cruccio di Lavia, l’abbiamo capito ormai, è quello di rileggere i grandi classici in chiave moderna. L’obbiettivo per carità è altissimo ed encomiabile, il pubblico ha profondamente bisogno di sporcarsi le mani tra gli intrighi e le passioni che animano le opere di autori come Schiller. Ma se dal punto di vista scenografico e sonoro il lavoro fatto da Alessandro Camera e Franco Mussida è funzionale a una resa contemporanea e “teatrale” del dramma, il lavoro sulla recitazione e sul testo non sembra affrancarsi dai precedenti lavori del mattatore e anche se Lavia non è in scena la sua firma è intuibile e presente nel ritmo delle battute, negli assoli, nell’irruenza trattenuta, nell’enfasi eccessiva e in un pathos agognato sin dalle primissime battute che costringe gli attori ad esercitarsi in faticosi giochi di equilibrismo per non cadere nella parodia di sé stessi.

Perché è qui probabilmente il nodo centrale che determina l’apparire e l’effetto dello spettacolo sul pubblico: una tendenza negli atteggiamenti degli attori e nella loro recitazione quasi da action movie hollywoodiano. E’ una modalità molto presente ormai sui nostri palcoscenici (si vedano ad esempio gli spettacoli di Gassman). Sembra quasi che strizzando l’occhio a un certo cinema, a una certo modo di approccio al personaggio, si cerchi anche di avvicinarsi a un determinato pubblico, quello giovane, il pubblico delle serie americane e dei romanzi criminali nostrani.

Ma si sa, è la storia a insegnarlo: il teatro che fa verso al cinema rischia il ridicolo. Nel caso di quel tipo di pellicole il rischio è ancora più grande. L’effetto anche sulle decine di giovani delle scuole superiori che affollavano ieri sera la platea era di divertimento: sobbalzavano al suono delle pistolettate a salve, applaudivano quando ogni scena terminava con l’incalzare della musica e le luci calanti, ed erano attentissimi quando l’atmosfera si faceva tesa per improvvisi scoppi di violenza verbale o fisica. Ma allo stesso tempo ridacchiavano nel finale quando le uccisioni e i suicidi dei personaggi venivano banalizzati da un ritmo incalzante, tanto che tra spari e urla, si polverizzava qualunque motivazione morale e filosofica da cui quegli atti scaturivano. Messo in una grande centrifuga il testo di Schiller perde qualsiasi affondo, viene depurato di qualunque tentativo di sguardo al presente, lo spettatore così non viene messo in crisi, chiudendo gli occhi gli rimarrà nella memoria Amalia conciata come la protagonista di Uomini che odiano le donne che estrae la pistola e puntandola sul viso impaurito di Franz riafferma il modello di donna sexy, dura e intoccabile, alla Tomb Raider.

Eppure bastava interrogarsi. Chi sono i masnadieri oggi, nella nostra società? Chi sono i ribelli? Sono i black bloc che animano le piazze? Qual è il limite tra vendetta personale e utopia di un mondo diverso? Chi è che fa tremare l’ordine costituito mettendo in ridicolo lo Stato e le sue istituzioni e dove porta la violenza che ne scaturisce? Di sicuro i masnadieri di oggi non sono un branco di metallari con chitarre e pistole.

Andrea Pocosgnich

in scena fino al 27 novembre 2011
Teatro India [cartellone 2011/2012] Roma

Ancora in scena dal 14 marzo al 1 aprile 2012
Teatro Argentina [cartellone 2011/2012] Roma

I masnadieri
di Friedrich Schiller
regia
Gabriele Lavia

con Francesco Bonomo, Fabio Casali, Daniele Ciglia, Michele Demaria, Filippo De Toro, Davide Gagliardini, Gianni Giuliano, Daniele Gonciaruk, Marco Grossi, Andrea Macaluso, Luca Mannocci, Luca Mascolo, Giulio Pampiglione, Cristina Pasino, Giovanni Prosperi, Alessandro Scaretti, Carlo Sciaccaluga, Simone Toni
scene Alessandro Camera
costumi Andrea Viotti
musiche Franco Mussida
luci Simone De Angelis

produzione Teatro di Roma, Teatro Stabile dell’Umbria
in collaborazione con La Versiliana Festival
orari spettacolo
ore 21 | domenica ore 18
lunedì riposo
durata 2 ore

Prossime date:

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Andrea Pocosgnich
Andrea Pocosgnichhttp://www.poxmediacult.com
Andrea Pocosgnich è laureato in Storia del Teatro presso l’Università Tor Vergata di Roma con una tesi su Tadeusz Kantor. Ha frequentato il master dell’Accademia Silvio D’Amico dedicato alla critica giornalistica. Nel 2009 fonda Teatro e Critica, punto di riferimento nazionale per l’informazione e la critica teatrale, di cui attualmente è il direttore e uno degli animatori. Come critico teatrale e redattore culturale ha collaborato anche con Quaderni del Teatro di Roma, Doppiozero, Metromorfosi, To be, Hystrio, Il Garantista. Da alcuni anni insieme agli altri componenti della redazione di Teatro e Critica organizza una serie di attività formative rivolte al pubblico del teatro: workshop di visione, incontri, lezioni all’interno di festival, scuole, accademie, università e stagioni teatrali.   È docente di storia del teatro, drammaturgia, educazione alla visione e critica presso accademie e scuole.

3 COMMENTS

  1. Ho visto ieri la prima al teatro Argentina, questa critica è assolutamente azzeccata. Eppure il pubblico, il resto della critica, non mi sembra rilevassero il problema del perché a mio avviso, nonostante tutti i buoni intenti, lo spettacolo non funziona.
    Semplicemente, non vado a teatro per decifrare dei messaggi, non principalmente per riflettere o interrogarmi, o forse sì, ma non partendo dall’intelletto…per me il teatro è pur sempre la maschera che ride e che piange. Nulla ha fatto vibrare le mie corde emotive. Troppo testo, un fluire continuo di parole che non dà modo, non dico di rilassarsi un attimo, ma nemmeno di “metabolizzare” il messaggio e di restituirgli credibilità.

    • Ammetto che la mia è stata una svista e non una presa di posizione. Non so se hai presente Rosa tutta la bagarre sul “qual’è” di Saviano… ecco io no, non mi difenderò citando Pirandello e Landolfi. Interessante però pure il tuo ruolo di intrepida cacciatrice di nefandezze ortografiche… Brava, continua così. Saluti. A.P.

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