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Il Castello di Corsetti al Teatro India. In cerca di emozioni tra clownerie ed sms

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Comincia con uno spettacolo evento la stagione del Teatro India, con la coda al botteghino quando il lavoro di Giorgio Barberio Corsetti sarebbe dovuto già iniziare. Il progetto prende qui la  forma definitiva di trittico dopo i debutti delle prime due parti in occasione del Festival di Spoleto e al Castello degli Ezzelini di Bassano del Grappa. A dire il vero Corsetti di quel romanzo incompiuto già ne fece uno spettacolo nel ’95 per il Théâtre National de Bretagne. È il Castello di Franz Kafka, autore a cui troppe volte si è guardato con timore chiudendolo in un’aura di angoscioso esistenzialismo. Chiariamolo subito, se la messa in scena di Fattore K (ultima formazione nata dalle ceneri della storica Gaia Scienza) ha un merito, è proprio questa capacità di scrollarsi di dosso qualsiasi possibilità di evidenza (scenicamente parlando) di quel “lato oscuro” già presente nella vicenda. L’intreccio, già immerso in una palude di paradossi e assurde costruzioni logiche, non ha bisogno di un ulteriore riscontro dal punto di vista visivo e scenico, se non verso un’ironica radicalizzazione. Eccola la scenografia che più povera non si potrebbe, fatta tutta di cartone, senza pretese di realismo o facile espressionismo, e la recitazione animata da leggerezza, ironia e un perpetuo movimento. Se pensate alle frenetiche musiche suonate dal vivo dal trio rock (basso, chitarra e batteria), all’interazione burlesca cercata col pubblico a colpi di enigmatici sms, comprendete facilmente come l’atmosfera sia decisamente scanzonata, senza però tralasciare quei nodi di comprensione imprescindibili nella scrittura del praghese.

In un collegamento con Radio Tre, a meno di un’ora dall’inizio del debutto, Corsetti non solo parla dell’enorme attualità del testo, e qui mi piace pensare che la scelta del cartone inteso come materiale di scarto ma interessantissimo per la sua duttilità sia anche un segnale in cui l’estetica s’intreccia con l’etica (proprio in quel giardino dove il Teatro di Roma  qualche giorno fa fece costruire un palco solo per la conferenza stampa), ma in quella conversazione rintraccia anche le possibilità sceniche del romanzo di Kafka proprio sui corpi degli attori.

Nella costruzione dello spettacolo Corsetti lavora infatti su un piano di vivacità emblematico: le scenografie si muovono con attori e pubblico nei luoghi deputati, si modificano insieme alle azioni, compaiono assi di legno, letti in cartone nei quali affondare e scomparire; gli interpreti, tutti ben inseriti nel “gioco”, corrono, saltano, si azzuffano – soprattutto i due aiutanti di K. – intessendo a tratti un ritmo più da circo che da prosa. L’assurdo della scrittura kafkiana emerge perciò non solo dai nodi tematici – K. l’agrimensore chiamato dallo stato a fare il suo lavoro scopre di non essere più utile e proprio da quella burocrazia viene osteggiato fino a modificare la propria vita a causa di un errore brurocratico – ma è disseminato in tuta la scrittura di scena. Ecco allora telefoni che calano dall’alto, neanche fossimo in un cartone animato, personaggi che squarciano mura di cartone per far spuntare la testa e neonati con sembianze da adulti, una carrellata insomma di effetti deformanti non solo della scena ma anche della percezione dello spettatore con il fine ultimo di spiazzarlo e farlo ridere.

Nelle tre ore di spettacolo il pubblico viene stimolato non solo dalla corsa dietro all’ensemble, ma anche da alcuni enigmatici messaggini che vengono mandati sul cellulare alludendo a un gioco che poi continuerebbe online. Tra una corsa e l’altra, nel bel mezzo delle scene ci troviamo a scrutare i nostri cellulari, interrogandoci l’un l’altro sul significato dell’enigma, alcuni dimenticano la vibrazione e allora è tutto un trillare di suonerie. L’idea, forse anche concettualmente interessante, crea però momenti di distrazione per il pubblico già sottoposto a parecchie sollecitazioni. Non vi sono quasi mai il tempo e le condizioni affinché la magia, che da uno spettacolo del genere ci si aspetterebbe, nasca di fronte agli occhi dello spettatore. Se vincente è l’idea di un K. straniero nel quale specchiare la nostre endemiche difficoltà di accoglienza – Ivan Franek lo tratteggia in modo ironico, clownesco, a tratti come uno sbruffone, anche se con alcune scivolate di eccessiva enfasi – nella movimentata giostra delle relazioni, degli affetti e dei meccanismi stritolanti a cui viene sottoposto il protagonista, quella passione diretta tra la scena e il pubblico vi è solo a tratti, la possibilità è che nel trambusto generale il brillante regista abbia perduto quella corda tesa tra finzione e stupore.

Andrea Pocosgnich

visto il 21 settembre 2011
Teatro India [vai al programma]

in scena fino al 2 ottobre 2011

Il castello – Trittico
21 settembre | 2 ottobre 2011

Adattamento e regia Giorgio Barberio Corsetti
Frieda. Il segreto di Amalia. Progetti di Olga.
Un progetto di Giorgio Barberio Corsetti e Fattore K.
Liberamente ispirato all’omonimo testo di Franz Kafka
adattamento e regia Giorgio Barberio Corsetti
Con Ivan Franek, Mary Di Tommaso
Julien Lambert, Fortunato Leccese
Fabrizio Lombardo, Alessandro Riceci
Patrizia Romeo
Scenografie Giorgio Barberio Corsetti e Massimo Troncanetti
Progetto video e fonica Igor Renzetti
Costumi Francesco Esposito
Musiche originali Alessandro Meozzi eseguite da Statale 66
Aiuto regia Fabio Cherstich, Ottavia Nigris Cosattini
In stage Giada Urbani e Daria Di Lernia
Con la collaborazione artistica di Fabio Massimo Iaquone e Luca Attili
Sito web Marchand Company – www.ilcastellodikafka.it
Browser game e Live Ivan Paduano http://www.ilcastellodikafka.it
Una produzione Fattore K.
Con il sostegno di PO FESR 2007/2013 – ASSE IV – PRODUZIONE DI NUOVI SPETTACOLI IN “PRIMA
NAZIONALE”-TEATRO/DANZA, progetto affidato dalla Regione Puglia al Teatro Pubblico Pugliese, in collaborazione con il Comune di Barletta e Teatro Dei Borgia.
Un progetto promosso dalla Provincia di Roma – ABC Arte Bellezza Cultura.

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1 COMMENT

  1. Non c’è che dire il regista sa come raccontare storie e farcele vivere con altre angolature. Per chi raramente esce dagli schemi del teatro classico può trovare una bella apertura al suo modo di intendere teatro

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