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Teatro e non: Roberto Latini e Patrizia Cavalli sulle Spiagge Bianche di Castiglioncello

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Laura Redaelli – foto di Areta Gambaro

È ancora pomeriggio e un collega marinaio, nato da questi luoghi, mi dice che se le rondini inizieranno a girare in tondo e puntare verso l’alto, vorrà dire che il tempo non terrà e verrà pioggia, tanta da impedire la poesia della sera, sul greto delle Spiagge Bianche. Ma le rondini, stavolta, hanno fatto il loro giro lontano da qui. Ai margini del bosco, Castiglioncello è un manto regale di cielo sulla rena sottile che sembra polvere di cemento, non appena arriviamo a mettere piede poco lontano da quella battigia, Patrizia Cavalli e Roberto Latini si preparano a una serata che poteva non essere, ma invece sarà eccome.

Latini è a piedi nudi, per andargli incontro tolgo le scarpe anch’io, lo facciamo in tanti, il primo contatto con questa serata dev’essere un atto di liberazione, primo passo smuovendo la rena, è il passo verso il verso. Patrizia Cavalli è prima di tutti, di spalle al mare, ce lo lascia guardare dietro di lei, mentre le nubi sull’acqua sono addensate e vicine, nella muta tregua che hanno concesso. La sua poesia effonde senza preamboli, non impone il verso ma lo apre a chi ascolta, lo dice senza cercarlo, si vede quanto per lei la ricerca sia altrove, nello spazio prima della scrittura; allunga la fine dei versi, calca le rime in chiusura, legge con semplicità che è la stessa delle sue immagini, inizia in un richiamo civile, la sua personale All’Italia (La Patria), non è nell’idea di nazione, ma negli uomini che la popolano: non la sola “piazza” è patria, lo è quando diventa “mercato”.

patrizia cavalli – foto di Areta Gambaro

Finisce con un “Io ringrazio”, quest’omaggio sincero alla terra di un esilio immoto. La sua lettura ha uno stile molto colloquiale, penso allo spirito che la anima e la sua prima raccolta, 1974: Le mie poesie non cambieranno il mondo, che era già una dichiarazione di poetica. Continua a sbagliare leggendo, certe volte ricomincia, certe altre lascia stare, ma tutto con una leggerezza ilare che contagia tutti, la stessa anche quando parla di morte vietandone così lo struggimento che la separa dall’esistenza, cui invece è connaturata: come non concederle dunque, non indulgenza ma spirito poetico anche nel gesto? Il vero spettacolo è allora nel considerare l’ossimoro, l’astratta ricerca delle pagine dov’era quella poesia che ha scritto e dimenticato, a cozzare maestosamente con la concretezza spicciola del verso di Patrizia Cavalli.

L’antiteatralità, dunque, è l’inizio della serata. Mentre si mangia e si degusta vino, in un angolo riservato al tramonto sull’acqua, Laura Redaelli del Teatro delle Albe regala pochi minuti di Aria Pubblica, testo della stessa Cavalli: la voce è di una ragazza in valigia, la voce è aria che si cerca un ferita per uscire, un pertugio di appartenenza, l’aria pubblica è spazio di una rinnovata esistenza e rivendica sé stessa come spazio vitale, piazza, contrapposto al vuoto che le è fratello antitetico; la Redaelli combatte con la chiusura della valigia, la sua voce ne contrasta la ritorsione e vince sulle note di un crescente Hallelujah.

Le storie di terra iniziano con C’era una volta.

Ma questa è storia di mare.

E allora: C’era una nave…

Roberto Latini e La ballata del vecchio marinaio, di S.T. Coleridge, dipingono l’aria di una musica magica (di Gianluca Misiti), troppo forte la suggestione di una voce che passi con quel testo come bagaglio nel fruscio dell’acqua a piena sera; dall’antiteatralità dell’inizio ormai siamo alla pienezza del corpo, ai due microfoni vicini, di cui Latini sceglie l’uso e il fiato: racconta di marosi flutti di naviganti, il mare e la sua notte che inghiottono il vecchio marinaio, cullano la sua ballata, investono di tempesta il suo ardire: Latini a piedi nudi e gessato nero, calca la sabbia come abbiamo imparato a fare noi, appena arrivati, perché a piedi nudi ci s’abbiglia, per una serata di poesia. La voce penetra il buio e l’arte di quel verso dondolante, s’installa tra la scelta e l’approdo, tra il viaggio e la deriva, tra le vele e il naufragio. Solo allora alzo gli occhi assieme all’amica a me di fianco, c’è un gabbiano che sorvola il canto dei marinai: il gabbiano ad ali/vele spiegate guarda giù, nel sentire di un uomo naufragato nel suo corpo e per la sua voce il rumore del mare, anche lui di certo deve aver pensato: C’era una nave…

Simone Nebbia

Leggi gli altri articoli da Castiglioncello per Ai margini del bosco

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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

4 COMMENTS

  1. Vorrei ricordare al commentatore estasiato dall’ambiente delle spiagge bianche che esse sono il prodotto del riciclo della vicina fabbrica di soda caustica della Solvay S.p.A.
    Solo in Italia possiamo continuare a parlare di poesia, chiudendo gli occhi rispetto alla realtà che ci circonda.

  2. Gentile GF, grazie della precisazione che tuttavia non mi era ignota, mi piacerebbe farti notare che la poesia è il cardine essenziale di denunce come quelle che fai tu, e che provo a fare anch’io di continuo. La poesia esiste per aprirli gli occhi, non certo per chiuderli. Mi dispiace non passi questa informazione specialmente fra le persone così attente come sembri essere tu. Quel “Vorrei ricordare” è un modo che ritengo errato di cercare una relazione, mi spiego? Non è che il commentatore in questo caso teatrale sia al corrente di tutti i disastri ecologici d’Italia, ma non per questo è un cretino. Li vedevo i fumi, ma io se non so fino in fondo, in alcuni ambiti che conosco meno, non mi spingo a denunce campate in aria, anche se l’aria è intossicata. Tu sembri decisamente saperne di più, quindi ti assicuro, da lettore e partecipante attivo della “realtà che ci circonda”, che sarò ben felice di ascoltare più approfonditamente questa storia da te nel tuo prossimo commento.

  3. http://www.lomb.it/s/viaggi-vacanze/rosignano-solvay/

    Gentile Nebbia, grazie per la risposta. Le posto qui sopra una nota esaustiva su Solvay S.p.A. e Spiagge Bianche di Vada. Purtroppo, o forse dovrei dire molto spesso, chi fa arte, chi gestisce uno spazio/festival, si ritrova ad agire su territori contaminati: politicamente, industrialmente, ambientalmente. Credo che Rosignano e Castiglioncello/Armunia si inseriscano proprio in questo quadro molto italiano. Grande e straordinaria qualità della proposta artistica e culturale che però è legata a doppio filo a finanziamenti comunali che, principalmente, sono donati al Comune di Rosignano M.mo proprio dalla Solvay S.p.A. per ripulirsi la faccia. Ordunque sorge spontaneo domandarsi: qual è il confine che deve sussistere tra il fare arte ed essere cittadini?
    Ai posteri…

  4. Grazie davvero GF, ma sono costretto a una piccola rettifica che denuncia un’altra mia dimenticanza invece determinante: l’arte è il mezzo, dicevo, con cui anche interagire con la politica dei veleni e dei soprusi inumani: per quale motivo credi che sia stato scelto quel posto per far gridare al Teatro delle Albe quel testo dal nome Aria Pubblica? E’ soltanto in relazione che “fare arte” ed “essere cittadini” si mescola in un significato addensato “fare cittadini” ed “essere arte”. Di questo sto cercando di occuparmi nell’articolo conclusivo perchè ritengo necessario che le due cose si affianchino, io non ne vedo assolutamente la distanza, soltanto la fratellanza.
    Un saluto
    SN

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