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Il reintegro del FUS: viaggi e miraggi della Tribù dei Piedi Nudi

Il reintegro del FUS

Dopo le ventilate proteste dell’ambiente culturale, il Governo reintegra il FUS (Fondo Unico per lo Spettacolo) – destinato ai pochi che ne usufruivano già negli anni precedenti e non certo all’attività indipendente, nè agli Enti che le permettevano di esistere – ma aggravando le accise sulla benzina (già ampiamente ingiustificate e alle stelle). Ma appena riottenuto il maltolto, lo sciopero previsto per il 25 marzo è stato revocato così come tutte le proteste collaterali, lasciando il passo a manifestazioni di tripudio e lampi di gioia. Ma è davvero questa la felicità?

C’era una volta una piccola tribù, nel folto della foresta boscosa, dove gli uomini vivevano felici nelle loro capanne, mangiando del loro pane e bevendo del loro vino. Un bel giorno, un piccolo gruppetto di saggi, decise che era il momento di stabilire un ordine più grande, che fosse produttivo e facesse crescere sempre di più, i guadagni della piccola tribù. Così decisero di ritirare un po’ di pane e un po’ di vino da ognuno degli abitanti, perché così potessero scambiarli con le altre tribù e distribuirli fra quelli che non l’avevano. Fu così che gli uomini saggi iniziarono a sentirsi ancora più saggi e allora pensarono di darsi un nome, e si vollero chiamare Potere. Ma più il tempo passava, più gli uomini tutti si accorsero che accumulavano il pane e il vino e tutto insieme lo portavano alla capanna più grande, dove quelli si erano riuniti; ma quando però avevano fame e sete, gli venne detto che, se ne volevano, dovevano ricomprare tutto, con altro pane e altro vino. Così allora gli uomini tornarono indietro e dissero alle loro donne che non ci sarebbe stato pane e vino fino a quando non avessero avuto il pane e il vino per comprarlo. Le donne fecero notare loro che forse qualcosa, in questa situazione, non quadrava molto bene, gli uomini si guardarono e dissero che sì, forse dovevano pensarci un po’ meglio e allora iniziarono a pensare e pensando pensando, iniziarono a raccontarsi, l’uno con l’altro, le malefatte del Potere: aprivano i loro teatri, scrivevano i loro libri, suonavano la loro musica, l’arte nutriva la speranza di avere ancora tutto il pane e tutto il vino che era necessario, per far vivere la piccola tribù.

Manifestazione di protesta di fronte alla sede del Ministero

E così un bel giorno, tra balli canti lazzi e concertini, gli uomini pian piano iniziarono a camminare verso la capanna più grande, tutti in fila, uno dietro l’altro, e ogni passo che facevano perdevano un tozzo di pane, perdevano un sorso di vino, ma erano decisi, perché non si campa di un tozzo di pane, non si campa di un sorso di vino; gli uomini erano tanti, uno dietro l’altro, ognuno con dentro agli occhi, gli occhi convinti dell’altro: camminavano indomati, nessuno li poteva fermare ma però, mentre se ne stavano in viaggio, come era forte il senso della fame, come era forte l’urgenza della sete…ma niente ferma chi sente la fame, niente ferma chi sente la sete! Un passo dietro l’altro, un passo e poi un altro, coi vestiti di guerra ma la lingua per terra, gli uomini arrivarono, un giorno, davanti alla capanna più grande. Fu allora che uscì uno dei signori del Potere e disse Popolo! Toglietevi le scarpe perché siete arrivati! E non c’è più bisogno di camminare: io sono uno di voi! Sono entrato per i vostri diritti e riempire lo stomaco a tutti! Così allora si guardò tutti quanti gli uomini, tutti insieme, e disse: Io sono tornato indietro, a portarvi il vostro pane e il vostro vino. Gli uomini avevano gli occhi mezzi chiusi, la testa chinata dalla fatica, le spalle cadute in avanti, lo stomaco ridotto come un nocciolo, così allora l’uomo prese il sacco del pane e il fusto del vino, a ognuno diede un pezzo, a ognuno versò un sorso, e disse Ecco a voi! Non c’è niente da lamentare! Questa è la rivoluzione del pane e del vino!

Ora quegli uomini masticavano e gli sembrava di non aver mai assaggiato il pane, con lo stomaco così piccolo che lo riempirono subito, bevevano e non gli sembrava di aver mai assaggiato il vino, abituati a bere solo acqua liscia, e allora quasi commossi iniziarono a fare baldoria, presero l’uomo e lo portarono in trionfo per le strade, felici della loro ricchezza ritrovata suonarono cantarono ballarono, accesero i ceri in ricordo di quel giorno di festa, chiesero all’uomo chi fosse, lui li guardò e disse Chiamatemi Robin Hood! Rubo ai ricchi per dare ai poveri! Gli uomini tutti insieme gridarono Urrà! Ma poi allora, finito che ebbero di mangiare, ridendo e cantando cercarono le loro scarpe per tornare a casa, andarono nel piazzale dove l’avevano lasciate e si accorsero che gliele avevano rubate tutte, così allora si guardarono l’uno con l’altro…e le feste raddoppiarono i canti le musiche più forti di prima! Un uomo, uno soltanto dal piazzale ormai vuoto, chiese loro Ma perché ridete? Di che fate festa? Ma come! – disse un altro degli uomini – Se il Potere ruba ai ricchi e ci prende le scarpe, vuol dire che non siamo poveri! Urrà! dissero tutti e si rimisero in viaggio, cantando e ballando felici, ricchi e soddisfatti, di camminare a piedi nudi.

Simone Nebbia

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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

6 COMMENTS

  1. Scherzi a parte: domande

    Perché chi non va a teatro, dovrebbe pagare il teatro per vivere?
    Perché il teatro dovrebbe essere pagato da altri, quando un modo per far entrare i soldi già c’è?
    Perché i teatri sono tanti e sono vuoti?
    Perché quando un teatro è pieno ed è pieno sempre della stessa gente nonostante lo spettacolo è un dramma?
    Perché dovrei finanziare i teatri e non gli artisti?
    Finanzio l’arte e chi la fa o chi la vende?
    Chi fa arte? Il pittore o il gallerista?
    Qual è l’oggetto artistico? la scultura o la piazza che lo ospita? il vestito o il manichino che lo indossa?
    Perché dovrei pagare per non andare a teatro?

    Il lavoro del direttore artistico è scegliere un buono spettacolo per riempire di pubblico vivente il teatro?
    Il lavoro del direttore artistico è quello di gestire i soldi che gli vengono dati distribuendoli alle compagnie nonostante il teatro resti vuoto?
    Il lavoro del direttore artistico è fare soldi con il teatro affittando la sala?

  2. Reintegro: ricostituzione dello stato, della interezza precedente, aggiungendo ciò che si è tolto. E’ bastato questo magico sostantivo a far esaltare e a gridare alla vittoria tutto il mondo dello spettacolo dal vivo. Penso invece a quanto gli operatori siano dipendenti dalla politica e dai suoi meccanismi di seduzione. La crisi è ancora lì, i soldi aggiunti serviranno a sanare i bilanci, a salvaguardare qualche posto di lavoro, ad evitare una serie di commissariamenti. Questa dipendenza ha fatto crescere un sistema malato, un sistema di sostegno nei fatti fallito. Bisogna ridisegnare tutto il sistema teatrale e approfondire nuovi metodi di sviluppo e finanziamento, vanno adottati nuovi parametri e indicatori di valutazione in modo da evitare che i finanziamenti alle imprese siano sotto o sovradimensionati.

  3. Qualche altra domanda.
    Quando paghi la bolletta del gas credi di pagare il gas?
    Sei a conoscenza di tutto quel che paghi?
    Puoi usufruire in tutto e per tutto di quel che paghi?
    Diciamo che un teatro aperto è un teatro aperto per tutti, sia per gli artisti che ci lavorano e dunque vivono ed anche per tutti gli altri (che forse, da oggi bisognerà chiamare “gli ostili”)
    Bella la mossa del governo!
    Da oggi gli artisti sono “quelli che fanno aumentare la benzina”.
    E i pesci indifferenti (che da oggi diventano ostili) abboccano.
    Anche i pesci artisti abboccano (che credono di aver salvato lo stipendio e invece hanno perso la faccia).
    Bella la mossa del governo!
    Sono daccordo sul far pagare un bel biglietto salato per un musical, così vediamo se lo “spettacolo” si sa reggere sulle proprie gambe, ma allora dichiariamo il “teatro” fuorilegge, così che perlomeno possa diventar clandestino.
    Lasciamo che quei tanti o pochi che sentono di non esser fatti per viver come bruti, possano incontrarsi senza ingerenze di sorta, anche in gran segreto, perchè no.

  4. Certo Riccardo, come è facile che la parola reintegro sia da sinonimo a conservazione di un status già di per sè coi bronchi ostruiti…eppure qui si grida al miracolo anche di fronte al gioco di un illusionista. Questo mi indispone di più, al punto che sento vivo il paradosso quasi di aver desiderato una deflagrazione del sistema che non sarebbe sopravvissuto all’assenza del FUS, piuttosto che tenermi questa flebo di speranza micragnosa. E invece di speranza vera, magnifica, avremmo bisogno.

    A Dario: le tue domande, pure interessanti, orima di essere discusse credo meriterebbero una contestualizzazione senza la quale perdono un po’ di forza e di senso.

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